‘Nte Vasci ‘e Napule: viaggio alla scoperta della “casa ‘e puteca” napoletana


Piccola abitazione a pianterreno che affaccia sulla strada. Icona dell’antica e perenne miseria degli strati sociali più emarginati della città, i “bassi” o come sono chiamati in napoletano “‘e vasci”, hanno origini antiche. Boccaccio fu uno dei primi a scriverne nel suo “Decameron”, dopo che nel 1325 fu condotto dal padre in questa città all’età di dodici anni: “…Guardo quelle che siedono presso la porta delle loro case in via Capuana…”. Anche se probabilmente la nascita ufficiale dei “bassi” napoletani si ebbe durante la dominazione spagnola, tra il XVI e il XVII secolo. La popolazione della città era in continuo aumento e per questo motivo, dato che per ragioni militari era vietato costruire all’esterno della cinta urbana, i napoletani iniziarono ad abitare in tutti i luoghi disponibili: locali, esercizi pubblici, botteghe artigianali. Inoltre dato il sovraffollamento cittadino, non era raro vedere più famiglie abitare insieme dividendo spazi ridotti. Le nuove abitazioni non persero però l’originaria funzione di negozi poiché i cittadini non smisero di esercitare le proprie attività commerciali lì dove abitavano. Si estese il fenomeno di “fare casa ‘e puteca” in un unico ambiente.

I “bassi” si diffusero così sempre di più, basti pensare che nel 1881 si contavano più di ventiduemila locali del genere, e che nel 1931 aumentarono a quarantamila. Per contrastare il fenomeno, le autorità posero all’esterno degli edifici censiti in questo anno, targhe con la scritta “Terraneo non destinato ad abitazione”. Divieto che non portò alle conclusioni sperate. Altro tentativo di eliminare questa struttura abitativa anticipò le insegne del Novecento poiché avvenne nel 1884, anno in cui una grave epidemia di colera colpì Napoli provocando circa settemila morti in città e quasi ottomila nella provincia. A essere più duramente colpiti furono i vecchi quartieri di Vicaria, Porto, Pendino, Mercato dove erano largamente diffusi i “bassi”. L’epidemia pose il tema della riqualificazione della città al centro del dibattito dell’opinione pubblica e così fu approvata, nel gennaio 1885, la legge “pel risanamento della città di Napoli” che prevedeva la bonifica di questi quartieri. A una prima fase di novità e costruzioni, ne seguì una seconda che vide l’arenarsi della maggior parte dei progetti.

La difficile condizione che però vivevano i napoletani che abitavano nei “bassi” non sfuggì ad alcuni letterati e giornalisti dell’epoca. Prima fra tutti Matilde Serao, che nel suo Il ventre di Napoli del 1884 scrisse: “Nessuna compassione e nessun ribrezzo più grande che il cacciar il viso a fondo in questi bassi ove vive e mal vive il popolo, in questi bassi che sono già oscuri, oppressi, angusti nelle vie più grandi e che nei vicoli, in cento vicoli, in mille vicoli diventano delle stamberghe sotterranee, quasi diventano anti ove si agitano e brulicano le vite umane, piccole, grandi, decrepite”.

Nel 1886 anche Salvatore Di Giacomo scrisse “‘O Fùnneco verde”, suo lavoro che richiama l’epidemia di colera dei due anni precedenti e le miserie dei “bassi”. Questi stessi “bassi” furono poi descritti, nel 1946, in chiave più spensierata, allegra e romantica, nella canzone “’O Vascio”, versi di Mario Giuseppe Cardarola, musica di E. A. Mario, autore de “La canzone del Piave” e “Tammurriata Nera”. Tra i più importanti interpreti di questo testo si ricordano Mario Merola, Aurelio Fierro e Roberto Murolo.

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Fonti: Marcello D’Orta, “I veri bassi di Napoli sono le scuole”, in “Il Giornale”, 2005

Matilde Serao, “Il ventre di Napoli”, L’Aquila, REA Edizioni, 2013

Salvatore Di Giacomo, “Poesie”, a cura di Davide Monda, Milano, RCS Libri, 2005

Concetta Celotto, “’O Vascio”, Napoli, Intra Moenia, 2012


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