Il ballo dell’orso. La strana danza in voga nelle feste dei Borbone


Se si pensa ad animali che potrebbero rappresentare simbolicamente Napoli, probabilmente verrebbero in mente esemplari marini dato che in tutto il mondo il capoluogo campano è spesso rappresentato da un’immagine del golfo. Forse altri  non sceglierebbero una bestia completa per rappresentare la nostra città, ma piuttosto penserebbero a una creatura animale solo per metà come la celebre Sirena, protagonista anche di una splendida fontana situata in piazza Sannazaro e prima ancora all’esterno dell’antica Stazione Centrale. Invece, forse, molti non sapranno che uno degli animali che da sempre è stato collegato con Napoli è l’orso. Questa bestia, feroce e selvaggia, fu la prima a piegarsi alla figura di San Gennaro, patrono del capoluogo campano. Il santo insieme con altri martiri quali Sossio, Festo e Desiderio, fu condannato a essere sbranato proprio da alcuni orsi che lo risparmiarono. Il miracolo avvenne, nel 305 d. C., nell’anfiteatro di Pozzuoli ai tempi delle persecuzioni ordinate dall’imperatore Diocleziano. Il governatore Timoteo, imbarazzato e furioso per l’accaduto decise di far ugualmente morire Gennaro e gli altri martiri cristiani facendoli decapitare.

ballo dell’orso

Da questo animale trasse il nome un evento molto in voga al tempo dei Borbone: il ballo dell’orso. Durante le feste che spesso si organizzavano alla Reggia di Capodimonte o a quella di Caserta, si assisteva a un certo punto a una danza unicamente femminile in cui le nobili, travestite da pescatrici o predatrici improvvisavano una battuta di caccia. Si narra che spesso questo ballo si concludesse con un’orgia al quale prendeva parte il sovrano. Tra le strade popolari si assisteva a un altro tipo di ballo dell’orso, quello in cui si poteva guardare un vero esemplare che, tenuto legato con un catena e una museruola, era obbligato dal suo domatore a stare ritto su due zampe mentre un tamburo suonava. Esibizioni del genere erano tipiche delle fiere settecentesche e ottocentesche. Dopotutto sulle montagne poste tra le attuali regioni di Lazio, Abruzzo e Campania si era diffusa la tradizione di catturare i cuccioli d’orso. Verso la fine del Settecento si sviluppò la doppia attività di crescerli o prenderli semplicemente in fitto per un determinato periodo di tempo, per portarli poi in giro per l’Italia e farli esibire nei “luna park” dell’epoca. Domenico De Marco nella sua “Statistica del Regno di Napoli”, pubblicato nel 1811, scrisse che i paesi dove era maggiormente richiesto il ballo dell’orso erano la Spagna e la Gran Bretagna. Quindi non era raro vedere molti montanari campani trasferirsi ed emigrare con il proprio animale e sposarsi con inglesi e spagnole che poi si trascinavano da una fiera all’altra.

Felix Mendelssohn

Nel Novecento furono diversi i musicisti anche stranieri che composero delle melodie dedicate all’orso. Schumann ne scrisse due, una delle quali fa parte dei “Dodici pezzi” a quattro mani e la cui prima versione entrò nell’ “Album per i giovani” che rimase inedito. Anche Mendelsshon scrisse una “Danza dell’orso” nel 1842. Le melodie sono caratterizzate da un ritmo particolarmente lento e ripetuto che ricorda il movimento dell’animale. Questi brani diedero vita a balli di coppia popolari in cui si procede oscillando da destra verso sinistra con le gambe leggermente piegate. “La coppia deve saltare due volte sopra ogni piede” come spiega un manuale di ballo scritto da Francesco Giovannini nel 1912.

Fonti: Roberto Franchini, “Il secolo dell’orso”, Milano, Bompiani, 2013

Giuseppe Buttà, “I Borboni di Napoli al cospetto di due secoli”, Brindisi, Trabant, 2012

Francesco de Bourcard, “Usi e costumi di Napoli e contorni”, Milano, Longanesi, 1977


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