La guglia di San Gennaro, tappa obbligatoria delle processioni napoletane


Quando vi era una eruzione forte, la statua di San Gennaro era portata, in processione, sino al ponte della Maddalena. E allora, si pensò un giorno, di mettere colà una memoria votiva, in modo cha San Gennaro alla soglia di Napoli, verso il terribile monte, si frapponesse con ogni suo potere”. Ma la statua di cui scrive Matilde Serao non è l’unica opera costruita in onore del patrono napoletano. Camminando per via dei Tribunali arriverete a uno degli slarghi più caratteristici di Napoli: piazza Sisto Riario Sforza, circondata dal Duomo, la reale cappella del tesoro di San Gennaro e il complesso del Pio Monte della Misericordia. Al centro della piazza è situato l’obelisco o guglia di San Gennaro, opera barocca costruita tra il 1645 e il 1660 da Cosimo Fanzago. L’architetto e scultore lombardo era arrivato a Napoli nel 1612 e aveva iniziato a lavorare al chiostro della Certosa di San Martino. In seguito gli fu commissionato anche il restauro della chiesa del Gesù Nuovo. Diversi furono i motivi che portarono Fanzago a protrarre il lavoro per così tanto tempo. Fra tutti, la scelta la base da utilizzare per sorreggere il Santo. Le rappresentanze nobili del capoluogo campano proposero all’arcivescovo Ascanio Filomarino di utilizzare una colonna incompleta ritrovata agli inizi del XVII secolo durante i lavori di scavo alle fondamenta del campanile incompiuto del Duomo. Il successore di Filomarino, il cardinale Innico Caracciolo, venne però meno all’impegno preso e  la regalò al viceré Pietro d’Aragona.

La guglia, la più antica di Napoli, fu ordinata nel 1631 dalla Deputazione del Tesoro come ringraziamento al Santo di aver salvato la città da un’eruzione del Vesuvio. L’evento, preceduto da diversi fenomeni precursori, cominciò alle 7 del mattino del 16 dicembre a seguito dell’apertura di una frattura nel fianco sud-occidentale del vulcano. L’eruzione durò sole 48 ore ma fu così violenta da determinare la distruzione di una parte del cono del Vesuvio. La guglia è formata da quattro lunghe volute terminanti con un capitello ionico, particolarmente decorato con puttini alati. La sommità regge una statua, in bronzo, raffigurante il Santo con l’elemento simbolo delle due ampolle del sangue, realizzata dallo scultore fiorentino Tommaso Montani. Su una facciata del basamento è posto un tondo con l’effigie di Cosimo Fanzago. Dal 1660, la guglia di San Gennaro diventò un topos delle vedute urbane legate alla cappella dedicata al Santo e diventò tappa obbligata delle processioni, come documentano i disegni di Carlo Vanvitelli, figlio del più celebre Luigi e nipote del pittore Gaspar van Wittel. Si ricordi fra tutti l’ “Apparato per la festa di San Gennaro”.

Il 19 settembre, data in cui si celebra il santo patrono e protettore della città di Napoli, è il giorno in cui principalmente si va sotto l’obelisco per rendere omaggio a San Gennaro dopo aver assistito, presso il Duomo, al rito dell’apertura della cassaforte che contiene il reliquiario con le ampolle del sangue. In passato i cittadini erano soliti improvvisare, la sera del 18 settembre nel mezzo della piazza illuminata, una cantata per anticipare la festa del giorno successivo.

Fonti: Maricla Boggio, Luigi M. Lombardi Satriani, “San Gennaro: Viaggio nell’identità napoletana”, Roma, Armando, 2014

Scipione Volpicella, “Principali edificii della città di Napoli”, Napoli, Fibreno, 1847

Agnese Palumbo, Maurizio Ponticello, “Il giro di Napoli in 501 luoghi”, Roma, Newton Compton, 2014

Benedetto Gravagnuolo, “Carlo Vanvitelli”, Napoli, Guida, 2008


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