“Dicitencello vuje” e “Caruso”: cosa hanno in comune queste due canzoni?

Lucio Dalla a Napoli


Tutti abbiamo amato almeno una volta nella vita senza avere avuto il coraggio di confessarlo, per paura di un rifiuto o semplicemente perché pensavamo non fosse il momento giusto. È di questa sofferenza che narra Dicitencello vuje, una delle canzoni più struggenti del panorama musicale napoletano. A ideare musica e testo di questo classico due giovani partenopei: Rodolfo Falvo ed Enzo Fusco. Il primo lavorava nell’ufficio delle Regie Poste, ma sognava la musica. Ha regalato alla canzone napoletana altri brani famosi quali Canzone garibaldina, Tu nun me vuò cchiù bene e Guapparia, oltre a scrivere anche la canzone pubblicitaria ‘O liquore Mago. Morì nel 1937 a causa di una malattia cardiaca. Fusco, invece, fu uno dei più apprezzati artisti di varietà degli anni trenta mentre era impiegato presso le Ferrovie dello Stato. Morì vent’anni dopo l’amico Falvo gettandosi dalla finestra della sua stanza al Vecchio Policlinico di Napoli, dove era ricoverato poiché malato di cancro.

caffè Gambrinus

I due giovani durante una delle ore trascorse al caffè Gambrinus, nel 1930, probabilmente mentre parlavano del Regime e delle innovazioni di inizio secolo, si lasciarono andare anche a discorsi più leggeri, discorsi che sapevano d’amore. Composero così Dicitencello vuje. Ma di che cosa tratta? Il protagonista parla a un’amica della donna amata chiedendo di riferire all’oggetto del suo amore i suoi sentimenti. Non dorme e sogna più perché la passione lo sta distruggendo, lo tormenta o non lo fa più vivere. Nell’ultimo verso del brano l’uomo confessa, in realtà, che la donna che ama è proprio la giovane alla quale sta parlando e afferma: “levammece ‘sta maschera, dicimme ‘a verità”. Nello stesso anno la canzone fu cantata per la prima volta, al Teatro Augusteo di Napoli, da Vittorio Parisi che dopo poco renderà famosa anche “Na sera ‘e maggio”.

Lucio Dalla a Napoli

Lucio Dalla a Napoli

 

Con il passare del tempo Dicitencello vuje ha conosciuto molteplici interpretazioni italiane e anche straniere. È stata cantata da Roberto Murolo, in coppia con Amalia Rodriguez, e da Alan Sorrenti che aggiunse vocalizzi finali conferendo ulteriore pathos all’intera opera. Nel 1961 Dean Martin la tradusse trasformandola in “Just say I love her”. Fra gli altri interpreti si ricordano Renzo Arbore e l’Orchestra Italiana, Rita Forte, Ivana Spagna, i Ricchi e Poveri, Claudio Villa, Franco Califano e Mariella Nava. Tra gli artisti napoletani si sono cimentati Sal Da Vinci e Gigi Finizio. Questo classico napoletano è stato interpretato anche da cantanti lirici quali José Carreras, Placido Domingo e Luciano Pavarotti. Inoltre, Dicitencello vuje ha ispirato una delle canzoni italiane più belle di tutti i tempi: Caruso. Nel momento in cui Lucio Dalla decise di scrivere “Te voglio bene assaje, ma tanto tanto bene sai, è una catena ormai, che scioglie il sangue dint’ ‘e vvene sai”, fa un chiaro riferimento al ritornello napoletano: “‘A voglio bene assaje! Dicitencello vuje ca nun mm’ ‘a scordo maje. È na passione, chiù forte ‘e ‘na catena, ca mme turmenta ll’anema… e nun mme fa campá”. Entrambe la canzoni, anche se in maniera differente, raccontano di un amore sofferente, di una passione così forte da poter essere indentificato solo con l’aggettivo “assaje”.

Fonti: Melisanda Massei Autunnali, “Caruso: Lucio Dalla e Sorrento, il rock e i tenori”, Roma, Donzelli, 2011

Ezio Guaitamacchi, “1000 canzoni che ci hanno cambiato la vita”, Milano, Rizzoli, 2009


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