30 luglio 1861, massacro di Auletta: donne, bambini e anziani uccisi per l’Italia Unita


L’Unità d’Italia, come abbiamo spesso raccontato, ha sacrificato il sangue e l’economia di noi meridionali. L’occupazione piemontese non ha seminato morte e distruzione soltanto fra le schiere borboniche e fra i briganti che opponevano resistenza, ma, fin troppo spesso, ad assaggiare i fucili italiani sono state persone comuni, civili, donne e bambini che avevano, come unica colpa, l’aver riposto fedeltà negli antichi sovrani ed alle loro tradizioni.

Così come è avvenuto per la strage di Pietrarsa, però, la storia ha dimenticato per lunghissimo tempo, per volontà dei vincitori, queste tragiche rappresaglie, queste manifestazioni di forza di un’Italia immatura e vacillante. In pochi, infatti, conoscono la carneficina compiuta dai bersaglieri del Regio Esercito ad Auletta, una piccola cittadina in provincia di Salerno.

Era il 28 luglio del 1861, da pochi mesi i Borbone erano stati detronizzati dalle truppe garibaldine, ma molti rimasero fedeli al Re di Napoli. Un manipolo di questi irriducibili sostenitori cercò rifugio proprio fra la popolazione di Auletta. L’arrivo dei filo-borbonici scatenò l’euforia del popolo: i ritratti di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi vennero dati alle fiamme, il tricolore fu ammainato e sostituito dalla bandiera del Regno delle Due Sicilie, dalla chiesa locale di San Nicola di Mira si sollevò un “Te Deum” in onore dei perduti sovrani e le campane suonarono per richiamare il popolo alla rivolta.

L’eco di questa insubordinazione arrivò fino alla vicina Pertosa, dove era di stanza un reggimento piemontese. Ad Auletta furono subito inviate poche decine di uomini della Guardia Nazionale Italiana e dei Carabinieri per troncare sulla nascita qualunque rivolta, ma arrivarono tardi: il popolo era pronto a combattere e cacciò a fucilate il manipolo di soldati. Un affronto del genere non poteva essere tollerato, la neonata nazione doveva dare una prova di forza chiara e inappellabile.

Su Auletta fu riversato un intero contingente di bersaglieri, affiancato da una squadra della Legione Ungherese. All’alba del 30 luglio i militari sgominarono la resistenza ed entrarono in città. Non riuscirono a trovare i ribelli che avevano scatenato tutto e, così, per fornire un sanguinante avvertimento a tutti i futuri facinorosi, iniziarono a massacrare i civili. Donne e bambini, adulti ed anziani vennero fucilati, pestati a sangue, umiliati e derubati.

Giuseppe Pucciarelli, il parroco che aveva alzato la preghiera per i Borbone, venne picchiato a morte in pubblica piazza insieme ad altri quattro prelati dopo esser stati costretti a inginocchiarsi al cospetto del tricolore. Si racconta anche che uno di loro, nonostante i suoi settantanni, cercò di alzarsi in piedi per non onorare la bandiera, ma i soldati gli spaccarono il cranio con il calcio del fucile. Furono 45 le vittime civili accertate quel giorno, ma alcune fonti dicono che il numero reale sia di 130 morti, mentre più di 200 persone furono arrestate con l’accusa di rivolta e cospirazione.

Fonti:
– Giacinto de’ Sivo, Storia delle Due Sicilie 1847-1861


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