“Fà ‘e cofecchie”. Da dove deriva questa espressione napoletana?


E’ nell’indole degli essere umani la cattiva abitudine di ficcare di continuo il naso in questioni altrui, che non lo riguardano in prima persona. Ed è, ancor più diffusa, l’usanza di trasformare una semplice notizia raccontata da terzi in una vera e propria tragedia greco-romana.
A ogni napoletano, almeno una volta nella vita, sarà capitato di pronunciare o ascoltare la tipica espressione staje facenno ‘e cufecchie intendendo il tipico parlottio, fatto in capannello e a bassa voce, alle spalle di qualcuno o qualcosa.
E’ questa l’attività preferita da uomini e donne quando si riuniscono fra loro, è una pratica che, proprio come l’abito nero, non passa mai di moda.

Nonostante sia ancora abbastanza utilizzata dal popolo partenopeo, la parola cufecchia vanta un’origine molto antica, difatti lo studioso, nonché autore di diversi vocabolari di lingua napoletana, Carlo Iandolo, sostiene che il termine derivi dall’aggettivo greco kóbalos, traducibile con i sostantivi furbo e imbroglione o addirittura con i verbi ingannare, beffare, raggirare e burlare.
Tuttavia esistono anche forme di traduzione che, probabilmente, si avvicinano molto di più all’utilizzo moderno ed attuale. Stiamo parlando di sparlare, spettegolare, inciuciare, ovvero tutte quelle pratiche fatte sotto banco con un pizzico di cazzimma.

In realtà fà ‘e cofecchie ha anche una doppia accezione e può alludere all’atto di amoreggiare o flirtare con una persona diversa dal partner ufficiale, quindi fa riferimento all’imperdonabile imbroglio fatto ai danni del proprio o della propria consorte, in poche parole al tradimento coniugale.


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