Stare “cu ‘e pacche dinto’a ll’acqua”: ecco perché è sinonimo di povertà


Nella stagione estiva, con un clima torrido, risulta difficile pensare che stare “cu ‘e pacche dinto’a ll’acqua” possa avere un significato negativo. Del resto, quest’antichissima espressione napoletana indica letteralmente lo stare immerso in acqua fin sopra le natiche, in napoletano “pacche”. Eppure, nella nostra lingua qualcuno sta “cu ‘e pacche dinto’a ll’acqua” quando versa in una condizione di miseria assoluta, quando ha toccato il fondo.

In realtà, originariamente l’espressione non doveva significare questo, bensì l’essere stremati o oberati di lavoro. Ormai quest’accezione del detto è del tutto dimenticata. In ogni caso, secondo lo studioso Raffaele Bracale, l’origine di tutto va ricercata nelle abitudini e nei tradizionali movimenti dei pescatori napoletani. In particolar modo bisogna ricordare la pesca con la sciaveca, una grossa rete calata in mare.

Una volta pieno, questo arnese veniva tirato a riva dai pescatori con un enorme sforzo. Per far questo gli uomini dovevano calarsi in mare con l’acqua ben più sopra delle ginocchia, insomma dovevano mettersi “cu ‘e pacche dinto’a ll’acqua”. Il modo di dire napoletano vorrebbe significare, quindi, che una persona è stanca tanto quanto quei pescatori che a fatica cercavano di portare a riva la grossa rete. Come si è arrivati allora ad indicare, in questo modo, la povertà?

A Napoli c’è sempre stata la convinzione che i pescatori fossero fra i lavoratori più poveri, al punto che l’antica arte della pesca veniva considerata l’ultima spiaggia per chi aveva perso tutto. Questa è, senza ombra di dubbio, un’esagerazione: non è mai stata un’attività particolarmente redditizia, ma tantissime famiglie hanno vissuto più che dignitosamente con simili proventi. Questa convinzione, comunque, ha infettato anche il detto in questione.

Oggi non viene più considerata la fatica dei pescatori, ma soltanto la loro presunta miseria. Così, ritrovarsi come loro “cu ‘e pacche dinto’a ll’acqua” è sinonimo di condividere la loro disperata ed esasperata povertà.


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