Chi è Giorgio Bassani e la sua poesia per le Quattro Giornate di Napoli


Giorgio Bassani è uno scrittore probabilmente sconosciuto al grande pubblico, facente parte di tutta quella grande e complessa narrativa del dopoguerra. Si ritrovano, in lui, temi e concetti propri degli anni Trenta, incentrati soprattutto sulla tematica della memoria.

In particolare, Bassani segue le vicende della borghesia ebraica di Ferrara: i primi anni del fascismo, le persecuzioni razziali e la società del dopoguerra. Non gli interessano i “vincenti” della storia, bensì gli sconfitti, i destini e le vite distrutte. Nella sua scrittura c’è una rappresentazione critica del mondo provinciale e borghese, mentre sullo sfondo si stagliano gli orrori della storia contemporanea.

Nato a Bologna il 4 marzo del 1916, Bassani apparteneva, come detto, alla borghesia israelitica di Ferrara. Si laureò in lettere nel 1939. La sua carriera è segnata da diversi ruoli dirigenziali: partecipò alla redazione di varie riviste (Botteghe Oscure), fu direttore di una collana di narrativa dell’editore Feltrinelli, vicepresidente della Rai e presidente dell’associazione “Italia nostra“. La sua opera più celebre è “Il Giardino dei Finzi Contini”, romanzo che racconta le vicende di una ricca famiglia ebraica trascinata nel vortice della persecuzione razziale.

A 28 anni si trasferisce da Roma a Napoli, nell’estate del 1944. Scrisse un articolo intitolato “I partiti progressisti nel napoletano“, nel quale denunciava, nella città partenopea, la presenza di un “grosso e quasi disperato pasticcio di corruzione e degradazione collettiva“. Il suo spirito fortemente antifascista lo portò poi a celebrare un episodio molto importante della storia italiana: le Quattro giornate di Napoli.

E’ per un giovanissimo caduto di quella resistenza che Bassani scrive questa poesia, ispirato da una fotografia inserita tra le pagine del testo di “Napoli contro il terrore nazista” di Corrado Barbagallo. Ecco il testo:

 

Non piangere, compagno,
se m’hai trovato qui steso.
Vedi, non ho più peso
in me di sangue. Mi lagno
di quest’ombra che mi sale
dal ventre pallido al cuore,
inaridito fiore
d’indifferenza mortale.
Portami fuori, amico,
al sole che scalda la piazza,
al vento celeste che spazza
il mio golfo infinito.
Concedimi la pace
dell’aria; fa’ che io bruci
ostia candida, brace
persa nel sonno della luce.
Lascia che così dorma: fermento
piano, una mite cosa
sono, un calmo e lento cielo in
me si riposa.

Fonti: “Storia della letteratura italiana – il Novecento e il nuovo millennio” di Giulio Ferroni; “Bassani – racconti, diari, cronache (1935-1956) a cura di Piero Pieri”; “Il legame tra Bassani e Napoli”, articolo su Repubblica di Lorenzo Catania.


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