Amarcord, 40 anni fa il capolavoro di Fellini vinceva il suo Oscar


Io mi ricordo. Basta un attimo e piccoli frammenti della memoria si ricompongono in un ricordo quasi concreto, quasi presente. Forse è stata questa l’ispirazione di Federico Fellini: un attimo, come un passo verso il percorso del desiderio, quel desiderio giovane, puro e libero, quello che col passare del tempo ogni individuo perde a causa di codici e strutture che inibiscono lo spirito e il corpo. E la nostalgia della spensieratezza, della sconsideratezza, della bellezza di conoscersi ogni giorno, ritorna come una scintilla ad infiammare i ricordi.

Si dice che i capolavori siano tali perché restano attuali. Sembra una banalità – probabilmente perché spesso il termine viene sfruttato per soggetti sicuramente immeritevoli – ma effettivamente è così: di “Amarcord” non restano attuali i valori, che inevitabilmente mutano al mutare della società, resta attuale la visione che Fellini dà dell’uomo e di sé. Quattro decenni dopo l’8 Aprile 1975, vincerebbe ancora, l’Oscar come qualsiasi altro riconoscimento cinematografico, e ricordarlo oggi è la vittoria che merita.

Spesso il cinema è argomento di discussione, per stabilire se sia puro intrattenimento o mirabile arte, ma non siamo qui per prenderci la responsabilità di tale decisione. Tuttavia, se il cinema è arte, “Amarcord” ne è una delle sue più preziose testimonianze. L’artista Fellini ha dimostrato in molti dei suoi lavori il genio tipico felliniano di cui – oggi più che mai – dobbiamo andare fieri e difendere intensamente. L’Italia difficilmente è stata culturalmente bigotta o pudica, anche nei periodi di pseudo-proibizionismo, ma mai è stata così degradata e maliziosamente perversa. Ricordare oggi un’opera come “Amarcord” non è una ridondante celebrazione, ma un inno alla sensualità ricercata, alla devozione per la Donna e le sue forme amorevoli, al desiderio squisitamente umano, di cui Federico Fellini si è fatto profeta.

Amarcord, io mi ricordo.

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