6 Agosto 1945: la bomba atomica distrusse Hiroshima


Molto spesso nel linguaggio di tutti i giorni, usiamo frasi e parole, senza pensare realmente a quello che stiamo dicendo, quante volte sarà capitato di dire “ce vulesse na bomba atomica”? Bene, se solo sapessimo davvero cosa significa, sicuramente o quasi, certe esclamazioni verrebbero evitate.

Il 6 Agosto del 1945, alle 8.15, sulla città giapponese di Hiroshima, l’Aereonautica Militare degli Stati Uniti lanciò “Little Boy”, la bomba atomica che rase al suolo tutto e che insieme a “Fat Man”, la bomba lanciata tre giorni dopo su Nagasaki, provocò un numero di vittime stimato da 100.000 a 200.000 persone e quasi tutti civili.

Non era mai successo e, speriamo, mai più si ripeterà l’uso di armi da guerra tanto distruttive, anche se diversi bombardamenti già in precedenza avevano interessato altre nazioni del mondo provocando ugualmente un ingente numero di morti, anche l’Italia fu bombardata, nelle città di  Catania, Messina, Livorno, Pisa, Palermo, Napoli, Milano, Bari, Foggia, Cagliari, Roma, dove fu colpito il quartiere San Lorenzo, che contò oltre 3.000 morti in una sola notte, il Pigneto-Prenestino e la zona di Piazza Bologna. Ciò nonostante però, gli ordigni sganciati su Hiroshima e Nagasaki, continuano ad essere quelli ricordati con più terrore perché autori di una distruzione totale e inaspettata che mise in ginocchio il Giappone.

Il 6 Agosto fu un giorno scelto per caso, i giorni precedenti videro un cielo coperto da diverse nubi che rendevano impossibile il lancio della bomba su Hiroshima, e così appena si dissolsero le nubi gli americani attaccarono. Un’ora prima della tragedia, la rete radar giapponese notò una forte affluenza di aerei statunitensi in volo e iniziò ad allertarsi, la notizia fu subito trasmessa via radio anche nella città di Hiroshima oltre che in tutto il Giappone, ma poco dopo l’allarme rientrò e, per risparmiare carburante, il comando militare giapponese decise di non far decollare gli aerei nipponici. Rimasero in effetti tre aerei americani a sorvegliare il cielo del Giappone, i bombardieri Enola Gay, The Great Artiste e l’ultimo, a cui fu dato il nome di  Necessary Evil, ovvero “male necessario” (questo aereo provvedeva solo a documentare solo con delle foto gli effetti della bomba atomica).

Un’ora dopo il primo aereo B 29 senza armamentario fu inviato per sondare la situazione e dare indicazioni su come agire, quindi agli altri velivoli fu inviato l’ok per lo sgancio della bomba a gravità, che conteneva al suo interno ben 60 kg di Uranio. Lo scoppio fu così potente che distrusse immediatamente tutti i templi e le costruzioni della città, furono rasi al suolo immediatamente e circa 70.000, 80.000 persone morirono sul colpo.

Di quel terribile avvenimento, vi è la testimonianza di un padre gesuita che si trovava in Giappone per aiutare i sopravvissuti presso la comunità cattolica della città, fu lui un testimone oculare, e proprio riguardo al bombardamento scrisse: “Ero nella mia stanza con un altro prete alle 8:15, quando improvvisamente vedemmo una luce accecante, come un bagliore al magnesio. Non appena aprii la porta che si affacciava sulla città, sentimmo un’esplosione formidabile simile al colpo di vento di un uragano. Allo stesso tempo porte, finestre e muri precipitarono su di noi in pezzi. Salimmo su una collina per avere una migliore vista. Da lì potemmo vedere una città in rovina: di fronte a noi c’era una Hiroshima decimata. Poiché ciò accadde mentre in tutte le cucine si stava preparando il primo pasto, le fiamme, a contatto con la corrente elettrica, entro due ore e mezza trasformarono la città intera in un’enorme vampa. Non dimenticherò mai la mia prima vista di quello che fu l’effetto della bomba atomica: un gruppo di giovani donne, di diciotto o venti anni, che si aggrappavano l’un l’altra mentre si trascinavano lungo la strada. Continuammo a cercare un qualche modo per entrare nella città, ma fu impossibile. Facemmo allora l’unica cosa che poteva essere fatta in presenza di una tale carneficina di massa: cademmo sulle nostre ginocchia e pregammo per avere una guida, poiché eravamo privi di ogni aiuto umano. L’esplosione ebbe luogo il 6 agosto. Il giorno seguente, il 7 agosto, alle cinque di mattina, prima di cominciare a prenderci cura dei feriti e seppellire i morti, celebrai Messa nella casa. In questi momenti forti uno si sente più vicino a Dio, sente più profondamente il valore dell’aiuto di Dio. In effetti ciò che ci circondava non incoraggiava la devozione per la celebrazione per la Messa. La cappella, metà distrutta, era stipata di feriti che stavano sdraiati sul pavimento molto vicini l’uno all’altro mentre, soffrendo terribilmente, si contorcevano per il dolore”.

A soli tre giorni dalla strage di Hiroshima seguì quella di Nagasaki, che portò uguale terrore e distruzione. La storia che si racconterà negli anni non potrà mai dimenticare la tragedia che nell’Agosto del 1945 caratterizzò con una forte vena d’amaro, quella che già di suo sarà per sempre un ricordo triste, la Seconda Guerra Mondiale. La guerra non è mai la soluzione migliore per risolvere i problemi, meno che mai con armi di distruzione totale. L’uomo ha insita la capacità di distruggere quanto di buono lo circonda, con il lancio di una sola bomba, ma  col passare del tempo e con i libri di storia che raccontano ad alta voce ancora la storia di tragedie avvenute 70 anni fa, ci auguriamo di non doverci mai più ritrovare a raccontare eventi di questo calibro avvenuti ai giorni nostri.


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