Le briglie borboniche: i Borbone risolsero il problema delle frane nel 1855


È alle pendici del complesso montuoso composto dal Vesuvio e dal Monte Somma che sorgono le cosiddette briglie borboniche. Tali costruzioni, possenti mura di contenimento in pietra lavica, sottolineano quando efficace ed all’avanguardia fosse l’ingegneria dei Borbone e quanto i sovrani duosiciliani fossero sensibili a problematiche molto complicate, relative all’ambiente ed in particolare ai rischi derivanti dal dissesto idrogeologico.

Era proprio questo lo scopo delle briglie messe a protezione della montagna onde evitare che le alluvioni, le piene dei torrenti ed altre calamità simili potessero ripercuotersi sui contadini e sui loro averi. Gli ingegneri borbonici trovarono il bandolo della matassa grazie ad una rete di vasche ed argini, fondamentali anche per contenere i materiali in eccesso prodotti dalle numerose azioni di bonifica che vennero favorite in tutta la zona.

Siamo al cospetto di un importante e complesso sistema che in maniera sistematica ha risolto il problema del rischio idrologico e della sua prevenzione.

Quando si pensa ai pericoli concernenti il Vesuvio, la mente subito corre, a buona ragione, all’attività vulcanica. Troppo spesso, però, si sottovaluta l’oscuro scenario che si verrebbe a creare in caso di alluvione. Il Vesuvio ed il Monte Somma sono, infatti, attraversati da numerosi torrenti che spesso hanno causato delle frane di fango e rocce conosciute col nome popolare di “lave”, ugualmente pericolose ai fiumi di lava provocati quando il vulcano è in fase d’eruzione.

Per risolvere il problema che affliggeva le zone alle pendici del Monte Somma, i sovrani di Napoli si rivolsero al brillante ingegnere Carlo Afan de Rivera, era il 1855. Il de Rivera intuì che alla base delle frane vi erano le zone paludose che sottraevano terreni all’agricoltura.

I contadini, per aggirare l’ostacolo, procedevano al disboscamento di altre aree della montagna per poterle dedicare alle loro colture. Tale pratica però causava il dissesto del suolo che, privo di alberi, non era più in grado di svolgere il suo ruolo di “difesa naturale” contro le “lave” che, prive di ostacoli, causavano distruzione e spesso morte. Il de Rivera risolse abilmente il problema favorendo un progetto di bonifica e rimboschimento di tutta la zona. Nuove ed eventuali frane sarebbero state contenute proprio dalle briglie.

Con l’Unità d’Italia ed il ventennio fascista le opere ingegneristiche caddero nel dimenticatoio, con l’avvento del cemento tutto ciò che era stato costruito con altri materiali non venne ritenuto idoneo. Al giorno d’oggi, purtroppo, esistono scarsissime forme di prevenzione circa questa situazione.

Spesso quest’incuria e questa ignoranza sulla questione si pagano con un costo molto elevato. Si pensi alla giovane Valeria Sodano che ha perso la vita nel 2011, proprio a causa di una di queste valanghe. Se a questa noncuranza si aggiungono gli incendi che hanno devastato il nostro vulcano, specie quelli dell’estate 2017, la preoccupazione di frane al primo temporale aumenta in modo esponenziale.

Come una manna dal cielo possono giungere in nostro soccorso proprio le biglie borboniche che, con forza, hanno svolto il loro compito prima dell’avvento del cemento. Rimetterle in funzione non sarebbe un azzardo, ovviamente sfruttando le conoscenze e le tecnologie di oggi.

Ancora una volta nel nostro continuo slancio verso il futuro, la risposta alle nostre domande potrebbe giungere dal passato.

Fonti:
– Difendere la montagna e la vita: le Briglie Borboniche – Miriam Corongiu per decrescita.com
– Le Briglie Borboniche tra passato e futuro – Pro Loco Sant’Anastasia


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