Schiavismo e tratta di esseri umani: così Ferdinando II di Borbone risolse il problema


La flotta del Regno delle Due Sicilie era, per numeri e prestigio, la più importante del Mediterraneo. A cavallo tra Settecento ed Ottocento le navi napoletane erano tra le migliori in circolazione e non solo garantivano un servizio di difesa e pattugliamento ragguardevole, ma erano impiegate proficuamente anche per lo svolgimento dei commerci.

Molteplici furono, infatti, i contatti e gli scambi commerciali tra Napoli e i governi degli altri paesi che affacciavano sul Mediterraneo. Nel primo trentennio del XIX secolo i diplomatici borbonici furono impegnati nella risoluzione di alcune annose problematiche che si erano avute tra le Due Sicilie, il Sultanato del Marocco e quei territori nordafricani, formalmente sotto il controllo della Sublime Porta d’Istanbul, ma che in realtà conservarono una certa autonomia e “vivacità” espresse appieno nelle scorribande dei pirati berberi i quali, da secoli, infestavano le acque a largo delle attuali Libia e Tunisia.

Dopo alcuni scontri a fuoco e prove di forza, sostenuti dalla flotta borbonica a difesa dei propri interessi nazionali, venne ad inaugurarsi una fase di grande serenità e pace, cementificate dal trattato del 23 giugno 1834. Gli attacchi ai possedimenti e ai beni della corona duosiciliana divennero un ricordo anche grazie alla totale assenza di velleità imperialistiche nella politica e nella persona di Ferdinando II.

Archiviata questa fase se ne aprì una nuova relativa al trattamento da riservare ai prigionieri di guerra. Ferdinando II di Borbone fu sinceramente contrario ad ogni forma di schiavismo. Michele Topa, biografo degli ultimi sovrani duosiciliani, avvalorò ulteriormente questa tesi. Il re, infatti, non badò a spese per porre fine al macabro commercio degli schiavi, introducendo nel suo Stato pene severissime per chiunque si fosse macchiato di questo reato.

Vi fu anche un altro evento che ben dimostra l’ostilità dei Borbone di Napoli verso lo schiavismo. Paolo Avitabile, dopo una lunga carriera come ufficiale dell’esercito di Sua Maestà, si trasferì in Medio Oriente dove divenne governatore della città di Peshawar, nell’attuale Pakistan. Ritornato in patria volle omaggiare il re donandogli due giovanissimi schiavi, Marghian e Badhig.

Ferdinando II li fece subito liberare e battezzare, imponendo al primo ragazzo il suo nome, mentre al secondo quello del principe ereditario. I due ragazzi ricevettero un’ottima istruzione; sia lui che la regina li consideravano come i loro “figli neri” al punto tale che Ferdinando, prima di morire, accordò loro una pensione dalle sue sostanze private.

Terminati gli studi Ferdinando Marghian venne impiegato nella biblioteca privata del monarca, mentre Francesco Badhig fu affidato al guardarobiere del re. Divenuti adulti rimasero fedeli, anche nella sventura, alla famiglia alla quale dovevano tutto non esitando a seguire Francesco II a Gaeta prima e nel triste esilio di Roma, poi.

Fonte:
– I BORBONE E I PIRATI, FERDINANDO E LO SCHIAVISMO, Comitati Due Sicilie, 5 gennaio 2013


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