Il Sud che salva l’Italia: ecco i giovani imprenditori meridionali che ce l’hanno fatta


Chi è che dice che al Sud non si può andare avanti, che non c’è voglia di fare, di inventare, che per essere finalmente liberi, autonomi e indipendenti quanto meno si deve emigrare al Nord. Milano, Bergamo, Como, se sei fortunato Emilia Romagna. Ma fortunatamente con un po’ di coraggio e determinazione le cose non vanno così, perché non devono per forza andare così. La prova che anche al Sud si può fare qualcosa di concreto, capace di creare posti di lavoro e flussi economici importanti, è nella storia di centinaia di ragazzi che ci hanno provato e ci sono riusciti, dimostrando al mondo che di fronte a voglia e volontà non ci sono problemi che tengano o pregiudizi che stroncano.

A volte basta solo scommettere, avere il coraggio di provarci, di non mollare e di guardare al futuro con positività, la stessa positività che ci è stata tolta nel corso dei secoli, e che vista la condizione in cui versa l’Italia oggi, sembra essere quasi divenuta sinonimo di superficialità è infantilismo.

E invece Daniele Cassini ce l’ha fatta. Giovane imprenditore pugliese che ha trasformato un garage in laboratorio informatico prima e in un vero studio professionale poi, ed ora collabora con i nomi più importanti dell‘economia internazione grazie alla creazione della sua applicazione “CicerOOs”: motore di ricerca turistico che sfrutta un algoritmo in grado di cucire l’itinerario su misura del viaggiatore.

Con un solo click tutte le informazioni su percorsi turistici, eno-grastronomici ed artistici a disposizione di ogni turita. Ed ora l’azienda conta otto dipendenti e un ottimo fatturato annuale, nonostante le tasse, la burocrazia e la tipica peculiarità italiana di complicare sempre tutto, anche le cose più semplici.

Ma non solo informatica e computer. Può dirlo forte Santo Fragalà, veterinario, che in un contesto di disapprovazione generale ha portato i dromedari in Sicilia, trasformandoli in un vero e proprio business. A soli 25 anni si è inventato un lavoro in grado di coniugare la più antica tradizione siciliana e la moderna industria dei prodotti biologici. Lui, unico allevatore di dromedari in Europa, con il loro latte ci produce biscotti, torte, creme, saponi e prodotti cosmetici. «C’è voluto un anno per ottenere le autorizzazioni e portare in Italia gli animali. Ci ho perso giornate intere a compilare scartoffie,-spiega- mi confronto con una mentalità arretrata, con una società, quella siciliana, poco vivace dal punto di vista economico. Ma di una bellezza mozzafiato», dice. «E nonostante tutto, mi convinco di aver fatto la scelta giusta».

Dalla Sicilia alla Sardegna. Cambio di scenografia ma non di copione, perché anche Daniela Ducato ce l’ha fatta, con un’azienda speciale che fattura ben 15 milioni di euro all’anno. Le si definisce una contadina dell’edilizia e all‘età di cinquant’anni s’è inventata “Edilana”un’azienda edile capace di sfruttare uno degli ingredienti migliori della Sardegna: la pecora. Risollevando così le sorti dei pastori sardi ridotti alla fame per la concorrenza straniera e della sua azienda familiare oramai in crisi.

Daniela ha trovato una nuova strada per far rendere il gregge e così con la lana costruisce isolanti per le case e con il latte ci fa le vernici naturali. La vecchia impresa edile di famiglia è diventata un gioiello delle green economy per cui lavorano oltre 60 persone. «Tante realtà locali che stavano chiudendo, si sono riconvertite e continuano a vivere», dice Daniela.

E c’è chi invece, il successo lo ha ottenuto con le olive, come Domenico Cristofaro che proprio con le olive costruisce lastre per l’edilizia. Sfrutta la sansa delle olive per produrre pannelli da costruzione. Polpa, frammenti del nocciolo e bucce lavorate per diventare lunghe lamine giallastre riciclabili al cento per cento ed utilizzabili nella costruzione di soffitti, case e coperture. Per ora la Ecoplan, questo il nome dell’azienda, conta 4 dipendenti ma il sogno di Cristofaro è quello di vederla crescere pian piano. «Siamo una piccolissima realtà, ma la nostra esperienza ha riscosso interesse tra le imprese del settore, abbiamo un impianto unico al mondo nel comparto della green economy -racconta l‘imprenditore- Purtroppo scontiamo l’arcaico pregiudizio sulle imprese del Sud, alcuni finanziatori, anche stranieri, dopo aver saputo che siamo qui in Calabria non hanno voluto concludere affari».

Oltre al successo personale qualcosa di più, non manca infatti la voglia di rilanciare l’economia del Sud, di dare nuova vita e nuovi orizzonti alle nostre terre. Infatti Cristofaro aggiunge: «I soldi stanziati per le regioni meridionali arricchiscono l’intero Paese, non solo il meridione. Dei due milioni e mezzo che abbiamo ricevuto, oltre l’80 per cento è stato speso al Nord per gli impianti e i macchinari. Siamo tra i pochi, forse gli unici, ad aver restituito parte del denaro concesso a fondo perduto, più del 35 per cento».

E in questa lunga lista di eccellenze meridionali on poteva mancare Napoli con la sua ricca tradizione di artigianato. Da Tokio a Napoli, in giro per il mondo, pronta a portare la cultura napoletana nientedimeno che in Giappone, e viceversa. Lei è Monica Ceravolo un’imprenditrice di 36anni che ha amalgamato la più antica cultura giapponese con la più squisita tradizione artigianale partenopea.

Con grinta e determinazione Monica ha avviato una start up di fashion design nella città dove i sarti producono opere d’arte con ago e filo, esportando in tutto il mondo borse artigianali rigorosamente realizzate a mano con pelle italiana e seta giapponese.

Il suo marchio, Obiki, significa “indossare l’obi”, la tipica cintura a fascia giapponese che stringe il kimono ai fianchi, spiega Monica, un’idea che pian piano l’ha portata alla costruzione di un marchio made in Italy che lavora in tutto il mondo. Per i suoi capi solo maestri artigiani e per le sue collezioni solo pezzi unici ed irriproducibili.

Dopo aver vinto il premio come miglior Start Up italiana Monica ha costruito una grande realtà con tanto di negozio on line. «Fare l’imprenditrice in Italia non è facile, al Sud ancora meno», racconta. «C’è la burocrazia asfissiante e ci sono le tasse troppo alte per i giovani che vorrebbero mettersi in proprio, tanto che anche se hai molte commesse, spesso i costi superano i ricavi. È un inferno. Ma restare in Italia, e al Sud in particolare, è una grande sfida. Qui c’è passione, talento, più che altrove».

Insomma questo è il Sud che vogliamo raccontare e che vogliamo esportare in tutto il mondo, lo stesso Sud che, secondo Pino Aprile , salverà l’Italia.


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