Bruno Marra: “Dal Super Santos alla Napoli di oggi, vi spiego cos’è la napoletanità”


Capire tu non puoi, se non sei come noi“, recita così uno dei più classici cori ultrà. Allo stesso modo, non si può capire Napoli se non si è napoletani. Spiegare la napoletanità è innanzitutto un’esperienza emozionale, fatta di storia, arte e passione. Elementi che si ritrovano in BruNapoli, libro edito da Markcommns edizioni che racconta, attraverso le esperienze di Bruno Marra – giornalista professionista – che cosa vuol dire essere napoletani, e perché Napoli è una città così speciale.

Un’opera intimista fatto di racconti, aneddoti, pensieri che si intrecciano tra cultura, arte, e filosofia: un viaggio nel tempo che collega la Napoli eterna con quella dei giorni nostri. Il tutto tenendo sempre a mente un solo obiettivo: urlare al mondo cosa significa essere napoletano. Per saperne di più su questa interessante opera, abbiamo deciso di intervistare l’autore del libro, Bruno Marra, il quale ci ha concesso un’interessante quanto esaustiva intervista.

 

Ciao Bruno, grazie per la tua disponibilità. Ti chiedo se puoi raccontare ai nostri lettori la genesi di quest’opera e qual è stato il motivo principale che ti ha spinto a scriverla.

Il libro è innanzitutto la testimonianza della mia vita. Affonda le sue radici a partire dagli anni 80, e racconta non solo del Calcio Napoli ma anche della città. Una Napoli storica, una memorabilia non solo, quindi, legata allo sport, ma è un’opera che racconta dell’arte, della cultura e della filosofia che permea la nostra città. Sono 16 capitoli trasversali, che partono dallo sport, raccontato non però in maniera tecnica, ma visto attraverso gli occhi dei napoletani. E’ un racconto, una filosofia popolare che si intreccia con i miei ricordi più intimi, come la prima volta al San Paolo, che è il capitolo di apertura del libro. E’ il calcio raccontato dalla parte dei tifosi.

Non solo calcio, però. Il tuo libro tratta anche del lato artistico e culturale di Napoli.

La seconda parte, appunto, tratta altri vari tipi di argomenti. C’è l’aspetto artistico, celebrato attraverso Totò ed Eduardo, i due più importanti esponenti a livello mondiale della drammaturgia, letti in chiave diversa. Il Principe della risata lo racconto come una maschera triste. Come scrivo nel mio libro, Totò rideva per non piangere. Eduardo, invece, l’ho declinato attraverso due delle sue opere più pregnanti. Napoli milionaria e Natale in casa Cupiello. Nonostante siano passati più di 50 anni, queste due opere raccontano una Napoli attuale, che viviamo e respiriamo ancora oggi.

Rispetto alla Napoli che racconti nel libro, tra calcio, arte e cultura, quali differenze vedi con la Napoli di oggi?

Hai centrato un punto fondamentale dell’opera. Ci sono profonde differenze non solo in Napoli, ma nella società in generale. Dagli anni ’80 ad oggi non sono passati 30 anni, ma 300. Pensiamo a quando si utilizzava la cabina telefonica a gettoni, mentre adesso tutti abbiamo uno smartphone. Io ho iniziato a scrivere su una macchina della Olivetti. C’è stato un cambio non solo generazionale, ma epocale.

Sono cambiate le abitudini ed il nostro stile di vita, e lo mostri chiaramente con l’immagine che hai scelto come copertina del libro.

La trasformazione della società la racconto in un capitolo, un po’ ironico, in cui il protagonista è proprio il mitico Super Sanstos. Non è soltanto un pallone, ma un elemento di aggregazione e di identificazione sociale per i più giovani. Dopo scuola si andava in strada a giocare con gli amici assieme al Super Santos. Era un modo di passare la giornata sì spartano, ma molto più intimo. Non vuole essere una condanna al mondo dei social ed alle nuove tecnologie, che hanno portato anche innovazioni positive. Ma, certamente, rispetto a 30 anni fa, è cambiato il modo di relazionarsi con le altre persone.

Negli ultimi anni l’immagine di Napoli è cambiata, non solo in Italia ma anche nel resto nel mondo. Una rivalutazione a 360°, come mostra l’incremento del turismo in città. Come te lo spieghi questo cambiamento?

La rivalutazione della città parte dalla sua cultura, dalla riscoperta delle sue radici. In diversi capitoli del libro racconto di una Napoli eterna, che si è liberata da sola nelle celebri quattro giornate. Una Napoli scolpita nel marmo al di là dei tempi. Il mio non è un libro strettamente contestualizzato, può leggersi anche tra 30 anni. In un certo senso ho enucleato un pezzo della città che durerà per sempre. Napoli continua a rimanere uno stato d’animo, non ha una logistica determinata, non è un territorio. Napoli è un’idea, una sensazione, una mentalità. La napoletanità è un modo di essere, non è circoscrivibile ad una geolocalizzazione.

Una rivalutazione di Napoli che fa da contraltare ad un’altra immagine, quella della camorra e della criminalità, che qualcuno vuole enfatizzare. A proposito di operazioni come Gomorra, cosa ne pensi?

Nel libro c’è un capitolo di condanna verso la tendenza alla “gomorrizzazione” di Napoli. In realtà, credo che Gomorra sia una di quelle operazioni che deprime l’immagine della città. Molto spesso, quando si fanno fiction del genere, si strizza l’occhio al boss, al malavitoso, anziché metterne in luce la vita tutt’altro che felice del criminale, che rischia di morire ogni giorno. Addirittura si fa del boss di camorra un profilo agiografico, quasi da supereroe. C’è, chiaramente, anche questa parte di Napoli, che a me non piace. Ma c’è, soprattutto, uno zoccolo duro di napoletanità che sta risalendo grazie al lavoro delle istituzioni, al turismo e alla riscoperta dei valori.

Turismo, riscoperta della propria identità e dell’immensa cultura che Napoli ha da offrire. Ma poi, c’è anche il calcio, ritornato prepotentemente ai vertici dopo anni bui.

Il calcio ed il Napoli vanno a braccetto. Il calcio a Napoli è un mood, una sensazione. Se la squadra partenopea vince e va bene, allora la città è felice. Se, invece, il Napoli va male, la città è triste. E’ una sorta di vaso comunicante. Un rapporto imprescindibile, tant’è che nel libro scrivo che Napoli è l’unica città che ha bisogno di una squadra per respirare. E in questo momento stiamo accarezzando la possibilità di vincere qualcosa di importante.

Vedi dei parallelismi tra il Napoli di Maradona e quello attuale?

Maradona è un’isola a sé stante. Come ho detto, non mi sono occupato del calcio in maniera tecnica. Posso dirti, però, fuori dalle righe del libro, che questa di De Laurentiis sia in assoluto la squadra più forte della storia del Napoli.

Il Napoli, ed in particolare la tifoseria napoletana, rappresenta un’unicità in Serie A. Ovvero, è una delle poche tifoserie che si identifica strettamente con la propria terra d’origine

Questo deriva certamente da un nostro modo di pensare, ma non solo. Napoli è l’unica squadra di una città intera. Se consideri che Roma è divisa tra Roma e Lazio, o Milano tra Inter e Milan, Napoli è un’eccezione. Anche Torino, sebbene sia a maggioranza granata, vede la presenza di un’altra squadra, la Juventus, che è anche la più tifata d’Italia. Napoli ha questa unicità che forse ci connota meglio degli altri, perché ci caratterizza in maniera assoluta. Il rapporto tra Napoli ed il Napoli è totalizzante, un cordone ombelicale che non si spezzerà mai.


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI