Robinù, Santoro: “Stato complice delle paranze, quei ragazzi amano la vita più di noi”


Ieri in mostra al 73° Festival di Venezia, a metà ottobre nelle sale cinematografiche d’Italia, eppure già di successo il docufilm del giornalista Michele Santoro, “Robinù”. Dedicata al tema delle cosiddette paranze dei bambini, la prima esperienza da regista cinematografico per il conduttore Rai, è un’immersione senza veli nei quartieri più malfamati di Napoli, nel tentativo di comprendere come si possa essere già killer e padri di famiglia a 18 anni e fare del carcere il proprio centro di gravità permanente.

Le risposte, nel documentario scritto con Maddalena Oliva e Micaela Farrocco e prodotto da Zerostudio’s, vengono direttamente dai protagonisti, intervistati e ripresi con la telecamera nel loro abitudinario stile di vita quotidiano, oltre ogni prospettiva futuribile di un’esistenza diversa. Eppure Santoro rivela, a sorpresa, di un amore viscerale nelle nuove leve criminali del capoluogo campano – totalmente avulse rispetto alle dinamiche dei noti clan di camorra – per la vita, forse per la spaventosa consapevolezza della sua fugacità.

Per morire bastano tre secondi, tu uccidi me, io uccido te. E’ normale” – risponde uno di loro alle telecamere – riscaldate inaspettatamente dall’attaccamento che i membri delle paranze, secondo Santoro, provano nei confronti della vita: “Volevamo filmare in modo freddo e distaccato, ma di fronte a noi abbiamo trovato ragazzi che a 15-16 anni hanno avuto il primo figlio e a 35 erano già nonni. Una realtà che ci ha sorpreso nella sua passione vera per la vita, speculare alla morte provocata, che noi non sappiamo più nutrire, così la nostra scelta formale gelida ha finito per riscaldarsi“.

E si scalda lo stesso giornalista salernitano nel denunciare le colpe di uno Stato, a suo dire, colpevolmente immobile di fronte ai problemi “dell’unica metropoli europea con anima popolare“: “Nel centro storico di Napoli i ragazzini che poi delinquono invece di andare a scuola spacciano. Allora mi chiedo: come fa lo stato italiano a sopportare programmaticamente l’evasione dell’obbligo scolastico? Ditemi voi se non è complicità questa“.

Anzi, proprio tali motivazioni di abbandono e degrado spingono Santoro a vedere il carcere secondo al lezione di Cesare Beccaria e del suo Dei delitti e della pena: “I protagonisti di Robinù – ha dichiarato ai microfoni de Il Fatto Quotidiano – pensano che fare carriera nella criminalità sia un fatto normale tanto che nel film paragonano l’avanzamento di grado nelle forze dell’ordine con quella delle gang. Attratti dal fascino militare ed espulsi dalla scuola, si sentono inadeguati culturalmente, ma più bravi di altri sul piano fisico, del coraggio, e nell’uso delle armi. È chiaro che vanno puniti, ma sono minorenni, la responsabilità da esercitare è diversa. Dopo la punizione ci deve essere il recupero“.


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