Emigrazione alle stelle e natalità alle “stalle”: il nostro Sud si sta spopolando


Panorami mozzafiato, cucina buonissima, il sole che illumina e il calore della gente che scalda. Al Sud la vita è bella, sembra quasi di assaporarla fino in fondo, di coglierne l’essenza vera. Al Sud ci sono bellezze che in tanti invidiano, ed altre che forse neanche noi conosciamo. Al Sud ci sono persone che si accontentano di poco, e con quel poco sono felici. Ma ce ne sono altre, invece, che si sentono in gabbia, rinchiuse nella loro frustrazione, nell’impossibilità di scegliere davvero il proprio futuro.

E cosa fanno queste persone? Studiano, si laureano, ci provano fino alla fine ma poi mollano. Oppure non studiano, non si laureano, ma lavorano, si arrangiano, poi arrangiarsi diventa troppo poco, perché per campare dignitosamente devi necessariamente portare uno stipendio decente a casa. In ogni caso, alla fine, se ne vanno.

Vanno su, al Nord, nella nebbia, nel freddo. Lasciano il sole, il mare, la cucina, l’allegria del Mezzogiorno, ma lo fanno perché di sole, di mare, di cucina e di allegria non si vive. A volte neppure sopravvive.

Ecco perché non sorprendono i dati mostruosi dello Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) che, nel suo ultimo rapporto, ha segnalato che il saldo migratorio netto del Mezzogiorno, dal 2002 al 2014, è pari a 653 mila unità. Un esercito, praticamente, che sfiora il numero di abitanti di Palermo, per dirne una.

Di questi 653mila, 478mila sono ragazzi (non avevamo dubbi) e 133mila sono laureati. Statistiche impressionanti, che mostrano un’Italia ancora divisa in due.

In aggiunta a questo, Svimez riporta anche il numero dei nati al Sud nel 2015, che ha raggiunto il livello più basso dall’Unità d’Italia: appena 170 mila. 

Il Sud, il nostro Sud, si sta spopolando. Potremmo parlare ancora una volta del perché al Mezzogiorno nessuno investa e del fatto che l’Italia destini la maggior parte dei propri fondi a nord di Roma, ma questo lo sapete già.

Quel che resta è la tristezza nel vedere un potenziale abbandonato a se stesso, e la rabbia nel salutare i nostri figli, fratelli, genitori, cugini, amici, costretti a lasciare la casa, la famiglia, i luoghi a cui appartengono, perché i sogni, in Italia, hanno una bussola. Una bussola rotta che non punta mai a Sud.


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