Corte di Cassazione: dare dell'”omosessuale” a qualcuno non è più un’offesa


Roma – Secondo quanto stabilito oggi dalla Corte di Cassazione, appellare qualcuno col termine “omosessuale”, sia esso eterosessuale o meno, non è più un’offesa. Una sentenza che tiene conto dell’evoluzione giuridica e sociale del nostro ordinamento e della diversa concezione che si ha oggi della stessa omosessualità

“Nel presente contesto storico” è da escludere che “il termine ‘omosessuale'” abbia conservato “un significato intrinsecamente offensivo come, forse, poteva ritenersi in un passato nemmeno tanto remoto”. Lo sottolinea la Cassazione spiegando che questa parola, diversamente da altri “appellativi” che invece mantengono un carattere “denigratorio”, è entrata nell’uso corrente e attiene alle “preferenze sessuali dell’individuo”, assumendo di per sé “un carattere neutro” e per questo non è lesiva della reputazione di nessuno, anche nel caso in cui sia rivolta a una persona eterosessuale.

Con questa motivazione, la Suprema Corte, con la sentenza 50659 che cancella ogni pregiudizio dal significato della parola ‘omosessuale’, ha annullato senza rinvio la condanna per diffamazione inflitta il venti marzo del 2015 dal Giudice di pace di Trieste nei confronti di un uomo che aveva usato questo termine in un atto di querela rivolgendosi a un ‘avversario’ eterosessuale con il quale era in lite. Sono esclusi, ovviamente, tutti i termini che vengono utilizzati per definire in modo dispregiativo una persona omosessuale.


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