Campi Flegrei, Mastrolorenzo: “Nonostante il rischio serio di eruzioni si continua a trivellare”

Monte Nuovo - Campi flegrei


 
I Campi Flegrei bruciano ancora. Stando ai risultati di una ricerca italo-francese pubblicata dalla rivista Nature Communications, la vasta depressione calderica partenopea contenente decine di crateri e relitti di edifici vulcanici, starebbe risvegliandosi dal suo lungo periodo di quiescenza.
La notizia dell’inasprirsi del pericolo costituito dai Campi Flegrei, insito nell’etimologia stessa del nominativo, dal latino -Campi Ardenti-, è diventata virale dopo che l’autorevole National Geographic vi ha dedicato un ampio servizio. Per chiarirvi, e chiarirci le idee, abbiamo chiesto un parere altrettanto autorevole, quello del professor Giuseppe Mastrolorenzo, I ricercatore, Vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano- Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.
-Professore, che tipo di emergenza rappresentano oggi i Campi Flegrei?
-Un’emergenza di prim’ordine, senz’altro. La zona è soggetta a ricorrenti episodi di bradisismo, come dimostrano le numerose scosse avvenute anche di recente. Gli eventi sismici, il pericolo costante di eruzione e la fuoriuscita di gas e vapori hanno fatto elevare il livello di allerta dell’area, già nel 2012, al livello giallo, il secondo livello d’allerta. Spesso, essendo la nostra attenzione orientata verso il Vesuvio, che percepiamo come un’emergenza più reale, dimentichiamo che i Campi Flegrei sono un supervulcano, suscettibile di dare vita a una super-eruzione, assai più pericolosa. Il Vesuvio, tra l’altro, è classificato ancora al livello di allerta verde, ma è chiaro che anche per il Vesuvio il rischio è grave e persistente.
-Secondo, la ricerca citata anche dal  National Geographic “il magma sarebbe prossimo a raggiungere la pressione critica di degassamento nei Campi Flegrei, accelerando i processi di riscaldamento e deformazione”. Che cosa significa esattamente?
– Si tratta di una ricerca basata sulla analisi dei fenomeni rilevabili in superficie, quali terremoti, variazioni del flusso e della composizione dei gas e deformazione del suolo. La ricerca ha acceso un cono di luce su un processo cruciale: la risalita del magma verso la superficie. In parole povere, durante questo percorso il flusso rilascia gas che riscaldano la roccia sovrastante il corpo magmatico, alterandone e modificandone la resistenza. La conseguenza principale è un indebolimento della crosta dovuto all’alta temperatura, associato a un aumento di viscosità del magma. L’incapacità della roccia, ormai indebolita, di trattenere la spinta magmatica, potrebbe dar luogo a un’eruzione.
– Il suo team aveva già segnalato in passato fenomeni analoghi o comunque preoccupanti. Sta cambiando qualcosa? Gli ultimi studi dimostrano che è più concreto il rischio di eruzione rispetto al passato?
-I dati non vanno sottovalutati. Sono diversi anni che la zona emette segnali d’allarme, aggravati da interventi umani che alimentano il pericolo, anziché mitigarlo. Tra il 2012 e il 2013, secondo alcune evidenze, si verificò una mancata eruzione, con risalita del magma, fino a circa 3 Km dalla superficie, proprio contemporaneamente alla trivellazione finalizzata alla ricerca e allo sfruttamento geotermico nell’area di Bagnoli. La comunità scientifica, inclusi io e il professor Chiodini, coautore dello studio diramato dal National Geographic, si è opposta tenacemente vista la pericolosità di perforazioni in una area vulcanica attiva così complessa e soprattutto imprevedibile. Fu allora che la Protezione Civile innalzò il livello d’allerta dei Campi Flegrei. Le trivellazioni furono sospese con conseguente apertura di un’inchiesta da parte della Procura della Repubblica. Lo scorso anno, siamo venuti a conoscenza di un altro progetto di trivellazione nell’area di Pisciarelli, per la realizzazione di una centrale geotermica, e ancora una volta io ed altri colleghi, abbiamo evidenziato con osservazioni inviate al Ministero dell’Ambiente, l’estrema pericolosità di attività di trivellazione, estrazione e reiniezione di fluidi al ritmo di centinaia di tonnellate per ora, proprio nell’area più attiva della caldera, sul bordo della Vulcano Solfatara, area epicentrale della maggior parte degli eventi nei Campi Flegrei. Proprio in quest’area il 7 ottobre 2015, furono localizzati eventi sismici che causarono il panico a Pozzuoli, con l’evacuazione volontaria di scuole ed uffici. Il paradosso alla base dei Campi Flegrei è proprio questo: nonostante il costante monitoraggio evidenzi importanti ed innegabili segnali di pericolo, e sia universalmente riconosciuta l’imprevedibilità assoluta degli eventi vulcanici e quindi l’impossibilità di stabilire con certezza se e quando avverrà un’eruzione, non sono poste in essere azioni per la mitigazione del rischio, al contrario si progettano e si effettuano trivellazioni che potrebbero innescare sequenze sismiche, esplosioni freatiche o addirittura eruzioni. E le società private, proponenti progetti di centrali geotermiche si avvalgono di consulenze di esperti dipendenti di Enti pubblici coinvolti nelle attività di protezione civile. Tornando alla sua domanda, lo studio, pur non dimostrando l’imminenza di un’eruzione, che è di fatto impossibile da prevedere, evidenzia un alto livello di criticità nel sistema vulcanico dei Campi Flegrei, con la possibilità di innesco di un’eruzione, che per quanto sappiamo, potrebbe avvenire con precursori anche a breve termine, e di difficile interpretabilità. Infatti il sistema di monitoraggio, seppure molto avanzato, può al più, evidenziare modificazioni, geofisiche o geochimiche del sistema, e registrarle accuratamente, ma non consente alcuna previsione a breve, medio o lungo termine. L’indebolimento della roccia potrebbe portare a un nulla di fatto, risolvendosi in un prolungamento del sonno del vulcano, così come accelerare il fenomeno eruttivo. Di sicuro, questa scoperta rende l’ipotesi di eruzione più reale di quanto non lo fosse prima.
-Se il territorio dei Campi Flegrei è instabile ed imprevedibile per sua natura, quali sono le soluzioni? C’è qualcosa che cittadini ed istituzioni possono fare per contenere il problema e limitare i danni, nel caso il cui la peggiore delle ipotesi si verificasse?
-Assolutamente nulla, non esistono accorgimenti tecnici o buone abitudini da rispettare. Mentre in caso di terremoto il rischio può essere contenuto progettando costruzioni antisismiche, il fenomeno eruttivo, se non altro per la sua imprevedibilità, lascia ben poco margine di manovra. La sola arma a nostra disposizione è un efficiente piano di evacuazione, che la popolazione deve conoscere preventivamente per essere poi pronta ad utilizzarlo in caso di emergenza. Ed è questo il secondo grande pericolo che ci aspetta: il piano di emergenza esiste, ma solo sulla carta. Nel concreto, non è stata varata nessuna misura che renda operativo il piano di evacuazione. Eppure parliamo di un’emergenza reale, un rischio dieci volte superiore a quello costituito dal Vesuvio, riconosciuto da esperti di tutto il mondo, che riguarda 3 milioni di persone. Nonostante la stima dell’Osservatorio Vesuviano sia leggermente inferiore, circa 600.000 abitanti, parliamo di una popolazione innegabilmente imponente. L’iter procedurale è preciso: occorre che i singoli comuni ( la zona dei Campi ne conta ben sette, incluso quello di Napoli) aderiscano al piano nazionale, sotto coordinamento della Protezione Civile. Anche l’emergenza Vesuvio non ha al momento un piano di evacuazione operativo, non essendo stati depositati da tutti i sindaci della zona rossa i piani dei punti di raccolta e smistamento, le vie di fuga, le liste di coordinamento e soccorso. Il piano di emergenza vale a poco senza quello, concreto, di evacuazione, che i comuni e la Protezione Civile devono premurarsi di diffondere tra i cittadini. Per i Campi Flegrei la situazione è persino più critica: non esiste nessun piano, né teorico né pratico, nessuna strategia verificata, nessuna lista dei punti di raccolta, nessuna cartellonistica. Ho presentato il mio piano dodici anni fa ma non è mai stato operativizzato, l’intera comunità scientifica, e quest’ultimo studio ne è la prova, monitora continuamente il problema. Noi non lo sottovalutiamo e faremo tutto quanto è in nostro potere, ma spetta alle istituzioni tener conto dei risultati raggiunti, attivando il piano di evacuazione.


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