Il boss confessa: “Abbiamo seppellito monnezza da Milano e Roma. Loro sapevano”


Dalla sua cella in regime di 41bis, Domenico Bidognetti, boss dei casalesi, ha raccontato il business dei rifiuti che ha legato imprenditori e camorra creando uno dei più grandi disastri ecologici e sociali del nostro tempo: la Terra dei Fuochi. Nel 2007 Bidognetti, cugino del capoclan Cicciotto ‘e mezzanotte e braccio armato dell’organizzazione, ha deciso di diventare un collaboratore di giustizia invitando tutti i suoi ex compagni a fare lo stesso nel corso della trasmissione “Annozero”: la decisione costò la vita di suo padre, giustiziato il giorno dopo la scelta del figlio.

Da allora il pentito ha raccontato tutto sui traffici della famiglia e del clan, nomi degli imprenditori coinvolti, dinamiche e cifre di un’attività illecita che ha fruttato miliardi di euro. Soltanto in una notte i casalesi riuscivano a guadagnare oltre 126 milioni di euro con i camion di rifiuti che da ogni angolo di Italia riversavano i contenuti nocivi nel suolo campano. In tutto sono state stimate dal Bidognetti circa 9.000 quintali di rifiuti interrati con questo sistema. Le dichiarazioni sono state raccolte e messe nero su bianco da Fabrizio Capecelatro nel libro “Il sangue non si lava”.

“Gli imprenditori ci pagavano fra le 180 e le 220 lire al chilo. Nel migliore dei casi, ovvero quelli in cui questi rifiuti venivano effettivamente smaltiti nelle discariche regolari. Se, invece, venivano sotterrati nelle cave abusive il nostro guadagno arrivava anche a 160 lire al chilo. Questi i numero del racket che coinvolgeva prevalentemente imprenditori di Milano e Roma. Bidognetti, infatti, racconta dei rapporti con loro: “Facevano soltanto finta di non sapere con chi trattavano il trasporto e lo smaltimento di questi rifiuti, perché gli conveniva, visto che risparmiavano fra il 30 e il 40% rispetto a quello che avrebbero dovuto pagare smaltendoli legalmente. Le prime volte andavamo noi a proporglielo, capita la convenienza facevano la fila per chiedercelo”.

Il pentito ha parlato anche delle influenze nelle imprese edili, da cui l’organizzazione prendeva enormi percentuali su ogni cantiere: “Indicavamo noi i fornitori e le imprese a cui dare il subappalto per i lavori collaterali: gli facevamo avere il cemento, il ferro, le ceramiche e anche le piante, se ce ne era bisogno; gli facevamo fare gli scavi, i tramezzi, i pavimenti. Non tralasciavamo nulla, in modo da poter lucrare anche su quei subappalti e così la percentuale diventava, per noi, del 10 o del 12%”


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