Gigi Di Fiore: “La differenza tra camorra di Napoli e della provincia, il Rione Traiano…”


Nelle ultime settimane si riparla di camorra con maggiore insistenza. Bene così, perché aiuta a diffondere una maggiore percezione di un problema da tempo scomparso dall’agenda politica del Paese. La lotta mediatica del parrucchiere antiracket Salvatore Castelluccio, che si batte a suon di video su facebook, oltre a mostrare il lato attivo che può assumere la cittadinanza, sta coinvolgendo emotivamente. La sua benemerita condotta potrebbe in qualche modo stimolare altre vittime della malavita a ribellarsi.

Ma a Napoli la camorra è vigile, presente con un controllo millimetrico e capillare del territorio. Nuove generazioni di malviventi hanno innescato una guerra tra clan per l’egemonia, in una terribile lotta fratricida che riempie le pagine della cronaca nera napoletana.

Della camorra ne parla Gigi Di Fiore, giornalista professionista e saggista napoletano, tra i massimi esperti della malavita dalle sue origini ad oggi. Ha largamente contribuito alla conoscenza del fenomeno con il suo lavoro editoriale.

«Quando parliamo di camorra e del suo mutamento nell’ultimo decennio, occorre distinguere tra clan metropolitani e quelli della provincia. In città abbiamo assistito alla collaborazione con la giustizia di diversi capi di spicco. Questa circostanza ha generato alcuni fenomeni criminali, tra i quali troviamo quelli delle paranze dei bimbi. I clan si sono sfaldati, la geografia della camorra è più frammentata e così giovani senza caratura e legittimazione stanno tentando la scalata al vertice. Questa fretta di arrivare ha aumentato la pericolosità. C’è maggiore disinvoltura nell’utilizzo di armi e in generale della violenza. In provincia – sottolinea Di Fiore – i clan storici resistono. Sono pochi i capi che hanno deciso di sedersi al tavolo della giustizia. Ciò determina un mantenimento del rispetto nei confronti del clan di appartenenza e del suo vertice. E quindi la situazione è ferma rispetto a quanto accade nella città di Napoli».

In tale frattementazione, esiste una zona napoletana maggiormente controllata dalla camorra? 

«Questa frammentazione genera lotte per il controllo anche per poche centinaia di metri. Esiste un’area più silenziosa, perché colpita di meno da omicidi dove c’è stata una intensificazione. Parlo del Rione Traiano, lì gli affari sono aumentati. Se prima la maggiore piazza di spaccio era quella di Scampia, oggi si è sicuramente spostata lì».

Com’è la situazione legata all’estorsione nei confronti dei commercianti? 

«Quando esisteva una situazione meno frammentata, i clan per riscuotere il consenso sociale provavano a limitare questo affare. Oggi si assiste ad un sistema più anarchico, figlio di quanto sta accadendo tra i gruppi rivali. Capita oggi che ci sia necessità di far subito cassa, ci sono quelli che si dicono successori di un nome importante ma senza alcuna legittimazione. Tutto ciò non è sottoposto a regole. C’è anche da dire che negli ultimi anni si è diffusa una maggiore coscienza tra i cittadini, con più tentativi dal basso di opporsi a tale presenza».

La camorra si sta spostando sempre più a Nord? 

«La sua presenza nel Nord dell’Italia c’è sempre stata. Fin dagli inizi degli anni ’70, il Veneto ha avuto una sua mafia. La ‘Ndrangheta, la più silenziosa delle mafie, presenta una estensione planetaria. Se guardiamo al numero di inchieste ci rendiamo conto di una presenza costante della camorra ben al di fuori dei confini regionali. Oggi esiste una maggiore conoscenza di questo fenomeno solo perché se ne parla di più, ci sono più riflettori. Le sue radici storiche al Nord sono state poco raccontate». 

Quanto la questione criminale può identificarsi con la questione meridionale? 

«Sempre stato un alibi, quando si dice che non si può investire al Sud perché c’è la camorra. Ricordo quando negli anni ’90 ci fu l’accesso a dei fondi pubblici per opere da realizzarsi, successivamente le inchieste giudiziarie accertarono che gli imprenditori anche provenienti dal Nord, politici e mafiosi erano seduti allo stesso tavolo. Il loro alibi “non sapevo fosse un camorrista” si è ripetuto. E’ stato utilizzato ad uso, consumo e interesse imprenditoriale del Nord con gli imprenditori che si accordavano evitando di denunciare». 

E’ impossibile sconfiggere la camorra?

«Se tutto si riduce all’aspetto repressivo, ad una lotta tra guardie e ladri, la lotta si produrrà in maniera infinita. Esistono aspetti socio-culturali da considerare. Un teoria sociologica descrive la camorra con una funzione di ammortizzatore sociale. Tiene a bada la ribellione, l’ansia del guadagno rapido. Non è solo una questione di paura, di terrore. Rispetto a qualche anno fa è stato compiuto qualche passo in avanti. C’è maggiore percezione ed è un fatto positivo. Ma la strada da percorrere è ancora lunga». 

 

 


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