Furono eroi o briganti? I motivi della rivolta contro l’invasione sabauda

Briganti lucani: la banda di Pietro Bianchi


Carmine Crocco, Luigi Alonzi, Michelina de Cesare, nomi del brigantaggio italiano, figure controverse, su cui pende la spada di Damocle del dover considerare giuste o meno le loro azioni: erano Eroi o Briganti?

Siamo nel 1860, un anno prima dell’Unità d’Italia, quando Francesco II di Borbone regge l’ultimo stendardo di resistenza del fu Regno di Due Sicilie dalla fortezza di Gaeta, assediata dalle truppe sabaude. Il malcontento inizia a serpeggiare, le promesse degli invasori disilludono mandrie di popolani convertiti da poco da sudditi dei Borbone a sudditi dei Savoia, passando attraverso un breve periodo rivoluzionario, visionario, sognatore, regalato dalle promesse dei Garibaldini, ormai già echi lontani.

È un periodo di crisi economica, sociale, morale prima di tutto. In un secolo di atrocità e conflitti, scandito da un divario sociale insormontabile, le promesse rivoluzionarie delle camicie rosse, poi trasformatesi in una nuova invasione monarchica, segnarono per sempre i destini delle popolazioni del Sud Italia e posero le basi a quella che, diversi anni dopo, verrà chiamata “questione meridionale”.

Elementi della banda del brigante Agostino Sacchitiello di Bisaccia, uno dei luogotenenti di Carmine Crocco

La caduta di Gaeta e la formazione del Governo Borbonico in esilio, guidato da Francesco II, segna la data d’inizio del banditismo postunitario come fenomeno generatore di quel fenomeno di lotta sociale che il revisionismo storico ha iniziato a chiamare “guerra civile”.

Ex militari, contadini disillusi, ma anche criminali, latitanti e camorristi (e questo non deve sorprendere, dacché i camorristi inflazionavano l’intero sistema del Sud molto prima dell’Unità d’Italia, e furono utilizzati da ambedue le parti per raggiungere i loro fini) fanno fronte comune, generano scompiglio negli ex territori delle Due Sicilie in funzione antiunitaria.

In Basilicata emerge la figura predominante di Carmine Crocco, che arrivò a guidare un esercito di oltre duemila uomini; nel Basso Lazio e nella Campania il già celebre Chiavone (Luigi Alonzi), che entra in quel periodo tra i ranghi borbonici del governo in esilio. Le rappresaglie generate da questo dilagante fenomeno “costrinsero” le alte cariche del neonato Regno d’Italia e promulgare la così detta “Legge Pica”, che di fatto legalizzava tribunali militari per crimini connessi al brigantaggio.

Caricatura di Francesco II come brigante, essendo considerando dalla cronaca del tempo mandatario del fenomeno del brigantaggio postunitario.

L’emanazione di tale legge fu pretesto di repressione violenta del legittimismo borbonico e spesso campo fertile a massacri ingiustificati. Con il tempo il brigantaggio (quello inteso come politicamente schierato al ritorno della monarchia borbonica) andò scomparendo, anche a causa dello scioglimento del governo borbonico in esilio, decisione presa da Francesco II (che nel frattempo veniva dipinto dall’opinione pubblica e dalla stampa del tempo come un Brigante) per evitare lo scoppio di una vera guerra civile.

Fatto sta che i Briganti divennero Partigiani, difensori della patria sconfitta e continuarono a combattere per la sovranità della propria nazione con fervore, sebbene alcuni di loro utilizzassero il legittimismo borbonico per vessare ulteriormente le popolazioni locali e per nascondere un passato da criminale, cercando una malsana e sadica redenzione in nome di una causa che non gli apparteneva. La questione, quindi, rimane irrisolta: si tratta di Eroi o Briganti? Malfattori o partigiani del loro tempo, a cui va anche perdonata (dato appunto il loro tempo) la violenza perpetrata?


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