Perché Di Maio ha rinnegato il Sud e non si sarebbe mai dovuto alleare con Salvini


Il potere logora chi non ce l’ha. Uno degli aforismi più celebri di Andreotti è quello che meglio sintetizza lo stato d’animo di Luigi Di Maio. Il leader del primo partito in Italia, durante oltre 60 giorni di consultazioni, ha legittimamente aspirato a diventare premier. Senza i voti di un’altra forza di governo, però, il Movimento 5 Stelle non avrebbe mai potuto guidare il Paese. La mancanza di potere ha logorato a tal punto il giovane leader grillino che ha dovuto rinnegare la sua storia e quella del Movimento.

Due le alternative che lo stesso Di Maio si era posto di fronte: accordo con la Lega, o alleanza con il Pd. Alla fine, il capo politico pentastellato ha optato per la prima alternativa, dimenticandosi di cos’era la Lega (Nord) e dei tanti voti che, dal Sud e dall’elettorato di sinistra, sono arrivati al suo partito.

A spiegare l’incompatibilità, sul piano ideologico, tra questi due partiti, era lo stesso Di Maio, meno di un anno fa, quando il governo Gentiloni stava per concludersi e l’Italia si preparava al voto dell’8 marzo. “Non mi alleo con chi canta Vesuvio lavali col fuoco“, ripeteva l’allora vice presidente della Camera. Il Movimento 5 Stelle ha quindi preferito allearsi con chi, per anni, ha denigrato quella metà del paese, quel Mezzogiorno di cui Di Maio si sarebbe dovuto fare garante e che, invece, ha utilizzato solo per un interesse politico.

L’incompatibilità tra Lega e M5S, però, va vista anche su ciò che è stato promesso in campagna elettorale. Al netto di molte affinità – immigrazione, euroscetticismo, revisione dei vincoli europei, vaccini – resta l’inconciliabilità tra i due cavalli di battaglia di queste due forze politiche: reddito di cittadinanza e flat tax. Due promesse di per sé molto difficili da realizzare e, insieme, ancora di più difficile attuazione. L’una è l’alternativa dell’altra. Come si ripresenterà Di Maio agli elettori del Sud se, dopo essersi alleato con chi urlava “prima il Nord”, non porterà a casa lo sbandierato reddito di cittadinanza?

In questi due mesi di trattative, però, sia Salvini che Di Maio si sono dimenticati di queste due importanti promesse elettorali. Alla fine, entrambi hanno preferito restare attaccati alle poltrone – dopo che si sono spartiti anche le presidenze di Camera e Senato – pur di non sfidare di nuovo gli italiani, ed ottenere una maggioranza alle urne che permettesse di governare senza accordi. Inaccettabile, però, è il voltafaccia di Di Maio nei confronti di chi ha riposto fiducia nei suoi confronti, affinché il Sud potesse far valere i propri diritti in Parlamento.

Da movimento anti sistema, fortemente meridionalista, avverso alla destra e vicino ad idee di sinistra, il Movimento 5 Stelle si è lentamente trasformato in un partito tradizionale, da prima Repubblica. Di Maio, da nemico dei partiti, è diventato nemico di se stesso, trasformandosi in quello che ha sempre combattuto: da uomo del popolo ad animale politico il passo è stato fin troppo breve.


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