Enrico Berlinguer e la Napoli dei lavoratori


Già nella storia preunitaria e poi in quella postbellica Napoli e l’intero tessuto metropolitano contava uno dei poli produttivi industriali, di ricerca e di formazione, più grandi e influenti d’Italia e del mondo, e come se non bastasse le organizzazioni politiche e sindacali più aggressive e performative.

Tra i più comuni primati mondiali di Napoli e del Mezzogiorno preunitario, degno di essere ricordato e molto poco conosciuto, è quello della prima forma sindacale italiana, del primo movimento italiano organizzato dei lavoratori, che nel 186o  si costituì come Società Operaia Napoletana. Fu proprio la classe operaia napoletana che spinse l’allora dittatore Giuseppe Garibaldi a elaborare la prima regolamentazione giuridica in materia di lavoro e di riconoscere le domande sociali delle istanze produttive. Queste, nonostante fossero mazziniane e repubblicane, furono lo zoccolo duro per la penetrazione storica del marxismo organizzato, il quale penetrò in Italia grazie all’introduzione degli studi hegeliani con Spaventa e Labriola, studi tedeschi che poi portarono all’esperienza anarchica napoletana di Malatesta (allievo di Bakunin) e a Bordiga. Questi, e altri, sono gli esempi importanti della lotta operaia napoletana, e un sintomo cosciente della creatività politica dei lavoratori meridionali.

Napoli è, dunque, una delle città più importanti nella Storia del lavoro, dei lavoratori in Italia, e del comunismo italiano. Napoli rimane una delle anime più intelligenti e propositive del movimento operaio e comunista.

Tuttavia assegnare non una nuova piazza a Enrico Berlinguer, ma spossessare la rotonda Diaz in favore del primo, non è una cosa molto corretta e di cui essere orgogliosi.

A trent’anni dalla morte del segretario del PCI si continua ad ignorare l’effettivo peso e la particolare caratura del sardo. Attualmente numerose sono stati i riferimenti alla sua immagine, tra cui quello di riesumarlo come uno dei padri della tradizione democratica senza la minima cognizione critica sulla sua storia effettiva.

Enrico Berlinguer non era un lavoratore istruito, e dalle mani sporche di grasso, ma un intellettuale che aveva sin da subito preferito integrarsi nell’apparato partitico e non nelle lotte di classe (tra sangue e manganelli).

Come amava ricordare Sandro Pajetta, il rivoluzionario sardo non verrà ricordato in ultima istanza per la sua integrità morale ma per aver dato fuoco agli ultimi frammenti dell’ispirazione rivoluzionaria del partito comunista italiano. Berlinguer, come Gorbachov, ha tradito e demolito la possibilità di una prassi rivoluzionaria e, ancor di più, ha abiurato la progettualità marxista per una trasformazione sociale radicale per abbracciare il sistema capitalistico e sposare la democrazia rappresentativa.

Come recita un antico detto tibetano, è vero che finché si abbraccia il nemico quest’ultimo non potrà accoltellarti, ma giungere a tarallucci e vino ha significato la fine del PCI.

Su questa scia in Italia, con Berlinguer, si è occultata la questione sociale per una di natura morale, e, addirittura, si è trasformata una lotta per il sovvertimento del sistema capitalistico in una lotta per i diritti.

Ciò ha condotto a consegnare la lotta comunista ai giudici, i quali non conducono una lotta sociale, ma morale.

Le filippiche pseudo-comuniste tra Berlusconi e i giudici non sono che una triste immagine e la prova del fatto che i comunisti stessi hanno sconfessato se medesimi proprio nell’esaurimento della lotta politica comunista in una lotta per la trasparenza dei partiti.

Questo per dire quanto è distante la figura e il valore storico del segretario del PCI dall’essenza e dalla profonda civiltà rivoluzionaria delle masse lavoratrici napoletane e del mezzogiorno.

Ora il Comune di Napoli riassegnerà la rotonda Diaz non allo stesso, a uno dei grandi figli della città – per quanto sanguinario – (che per la cronaca, dopo la disfatta di Caporetto, consegnò all’Italia la Vittoria nella Grande Guerra), ma a Berlinguer, a colui che definì la fine del movimento comunista e l’eliminazione di qualsiasi prospettiva di emancipazione per i lavoratori nel Mezzogiorno.

In conclusione Napoli merita Berlinguer? In base alle tradizioni e alla storia di Napoli, e del Mezzogiorno, è dovuta la intitolazione a Berlinguer di una piazza già assegnata (ad Armando Diaz)?

Cosa ne faremo del magnifico monumento al Capo di stato maggiore dell’esercito italiano, Armando Diaz, che rese napoletana la vittoria sugli Imperi centrali nella I guerra mondiale?

Con quali referenze, e giustificazioni, la Giunta comunale di Napoli legittima una tale ferita alla città partenopea?


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