“I’ nun saccio parlà, saccio sule sunà!”: dedica a Pino Daniele


Arriva irrompendo e sconvolgendo tutto senza possibilità di cercare vie di fuga, quel fatidico momento della vita in cui ognuno di noi -inevitabilmente – inizia a tirare le somme, a sciogliere matasse, a svincolarsi da situazioni sterili che generano solo sofferenza, a liberarsi dal “vecchio” per dar spazio al “nuovo”, inteso come una concreta possibilità verso sé stessi e verso gli altri, un tentativo (seppur minimo) di cambiare e smuovere lo stato delle cose. Ci si chiede per chi e per cosa valga la pena continuare a lottare con tutte le proprie forze: quante occasioni perse, quanti sorrisi negati, quante perdite di tempo per qualcuno o qualcosa per cui non ne valeva la pena, quanti rimpianti dovuti alla paura di esporsi, al timore di amare, di legarsi, di sfidare i propri limiti, di cercare di sopprimere e reprimere certe sensazioni solo per non cadere nell’irrazionalità. Ogni risposta che cerchiamo, ogni dubbio che intendiamo sciogliere è sempre e solo dentro di noi. Inutile mentire a sé stessi, alle profondità dell’animo umano. In un attimo, mentre abbiamo programmato ogni minimo evento della nostra misteriosa ed effimera vita, tutto cambia e purtroppo –nel peggiore dei casi- tutto finisce, lasciandoci l’amaro in bocca per non aver avuto il tempo materiale di dire a determinate persone cose che non potremo più dire!

Eppure sono proprio “quelle persone” che, anche quando se ne vanno fisicamente (lasciandoci nel dolore incolmabile) restano grazie al ricordo vivo ed acceso di quel che sono stati gli anni prosperi: è il caso del cantante Pino Daniele, scomparso la notte del 5 gennaio scorso. Pino vive nelle sue canzoni, nella felicità, nella commozione e nei pianti interrotti dei suoi fans che ieri si sono uniti, da perfetti sconosciuti, in Piazza Plebiscito per dargli l’ultimo saluto. Sicuramente quei pensieri, quelle dediche che non hanno avuto il tempo materiale di fare e dire a voce arriveranno ugualmente a lui, con un velo di malinconia e di rimpianto per non aver potuto dare un abbraccio o una stretta di mano a quel cantante che ha fatto sognare ed ha raccontato le storie d’amore e sofferenza di ognuno di noi. Difficile non perdersi ed immedesimarsi in quei testi.

Anche coloro che non amavano particolarmente le sue canzoni ed il suo stile musicale, in qualche modo, si sono un po’ emozionati di fronte a una mobilitazione di tale portata, di fronte ad un amore così puro ed incondizionato non solo per l’artista in sé e per la sua musica, ma sopratutto per una persona che ha lasciato pezzi della sua anima nella sua bella Napoli, così come dice il titolo di una sua famosa canzone.

Da quattro giorni or sono, milioni di dediche, post, foto e video sono stati realizzati per l’artista. Anche Gaia S, ha voluto dar voce al suo pensiero, servendosi dell’arma più potente: la scrittura. Le sue parole improntate su carta non solo commuovono ma lasciano trasparire riferimenti a grandi artisti del calibro di Totò, in particolare alla sua “Livella”, Troisi, Murolo e così via, che solo una persona amante della cultura e profonda, potrebbe fare. Ogni commento è superfluo, è proprio vero che la scrittura, attraverso i suoi mille fiumi di parole, esprime a pieno e silenziosamente pensieri che sarebbe difficile rendere a voce e dal vivo e Gaia S. ci è riuscita bene. “Verba volant, scripta manent”… Gli “scritti” di Pino, ovvero i suoi profondi e toccanti testi rimarranno per sempre, così come le dediche dei suoi fans.

“Caro Totò,
quaggiù fa freddo, tanto freddo, qualcuno se n’è andato ed ha lasciato la porta aperta, forse veniva da te. Se lo vedi diglielo tu, come solo tu sai fare: “E tu che ci fai qua? Ma come? Ti sembra questo il modo?” E si, tu sapresti come cantargliene quattro! O forse no, sarebbe lui a cantare ed allora anche tu rimarresti basito, tu che con l’ironia ed il sorriso amaro che solo un napoletano sa interpretare rimarresti toccato da quella voce sottile e profonda allo stesso tempo. Probabilmente gli diresti. “Guagliò, ora capisco pecchè quegli stolti laggiù stanno accussì tristi, tanto tristi che non si sente volare una mosca in tutta piazza del plebiscito. E tu li avevi abituati male! E mo’ cumme fanno?”
Caro Totò, solo tu ci puoi capire, che hai conosciuto quanta pena e quanta gioia si annidano all’ombra di questo vulcano, quanta saggezza fra le onde di questo mare amaro e quanta melanconia nei bagliori di un sole prepotente e sfacciato. ‘O sole, sì, quello che brillava in faccia ad un giovane sfrontato e volgare che dichiarava disarmato: “I’ nun saccio parlà, saccio sule sunà!” Come potevamo non amarlo, Totò? L’avresti amato pure tu, che sapevi anche comporre, in un altro modo, certo, ma la poesia era la stessa, quella che può germinare solo dai vicoli bui di una città disperata e afflitta. Quella che fa incazzare tutti giorni chi la vive e chi stupidamente da lontano la detesta. E mo’ m’arraccummanno, nun fate troppo casino lassù assieme all’ate, Massimo, Eduardo, Roberto. Abbiate rispetto per noi quaggiù. Ci passerà, ci abitueremo, il mondo è maestro nello stordirci coi guai, ma noi avremo sempre un film di Totò o di Troisi, una canzone di Murolo o di Pino Daniele od una commedia di Edoardo a ricordarci che questa terra difficile non sarà mai banale.
Stateve buone guagliù!”

 

 


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