Chiacchierate Partenopee: Vesuviolive.it intervista The Gentlemen’s Agreement


I ” The Gentlemen’s Agreement ” rientrano in quel selezionato circolo di band, che ti fanno sentire musicalmente orgoglioso di essere napoletano. Nascono a Napoli nel 2006 e fin da sin da subito dimostrano di avere qualcosa da dire, in ambito artistico oltre che musicale. Band di carisma e personalità pur non rispecchiandosi completamente nella più squisita tradizione musicale napoletana riesce a rievocare comunque tutti i suoni,i sapori e le atmosfere del sud. Raffinati, retrò e malinconici riescono a catapultare l’ascoltatore nel più genuino, affascinante e caotico animo latino. Intrisi di leggera spregiudicatezza trascinano anche l’ascoltare meno preparato, in un mood irresistibile e coinvolgente. Il 9 aprile hanno presentato il loro ultimo lavoro “Apocalypse Town” tra applausi e consensi e noi di Vesuviolive.it non potevamo fare a meno di incontrarli.

Come ribadito in precedenza questo è un progetto tutto napoletano. C’è chi dice che a Napoli fare musica è impossibile. Pochi locali, pochi spazi dove suonare, pubblico svogliato e a volte disattento. Eppure voi a Napoli avete costruito una realtà solida che sembra resistere negli anni. Cosa ha fatto di voi una band “di successo” rispetto ad altre band campane che, in un modo o nell’altro, hanno smesso di fare musica?

E chi dice che a Napoli non ci sono locali? Napoli in questo senso ha tanto da offrire. Nella nostra città non mancano spazi dove suonare e di concerti se ne fanno tanti. Più che mancanza di locali forse Napoli soffre la mancanza di un palco più grande, quella famosa via di mezzo che doveva essere rappresentata da “La casa della musica” oramai diventata “Casetta della musica“. Vedi, questo tipo di critica solitamente viene mossa da chi non si è spostato mai da qui e non ha avuto modo di confrontare la nostra realtà con quella di altre città italiane. A Milano la situazione è tragica, molto più di quanto sia a Napoli. A parte Roma, nelle altre città italiane ci sono sempre meno spazi dove suonare, mentre tutto sommato a Napoli si suona quasi tutte le sere. Si tratta spesso di microclub, di piccole realtà pronte a sperimentare e dare spazio anche ad artisti di nicchia, in grado di attirare un certo pubblico. Non è vero che il pubblico napoletano è svogliato e distratto, anzi, quello di Napoli in realtà è pubblico dinamico e molto esigente. Seleziona le proprie serate e si concede solo quando ne vale la pena. Il pubblico c’è ma spesso è frammentato. Ma poi, parliamoci chiaro,  da che mondo e mondo a Napoli si suona e si suonerà sempre. Che siamo una band di successo, questo lo dici tu! Abbiamo un certo seguito ma è vero anche che manchiamo dalle scene da un po’ di anni, l’ultimo concerto fatto a Napoli prima della presentazione dell’album risaliva ad un anno prima. Non sappiamo ancora quale sarà la reazione delle nuove generazioni al nostro ultimo lavoro. Infine, cosa ha fatto di noi una band ancora viva? Forse il carisma. Noi suoniamo e siamo felici di farlo, suonare ci diverte, ci appaga, ci entusiasma e questa carica cerchiamo di portarla sul palco e di trasmetterla alla gente. Ma di successo ancora non se ne parla!

Ascoltando i vostri album si nota fin da subito una profonda attenzione all’utilizzo dei suoni. Emerge una sottile predilezione per un tipo di strumentazione non convenzionale. Utilizzate strumenti fatti a mano, alcuni dei quali costruiti da veri e propri artigiani (come quelli del geniale Peppe Treccia) altri invece raccattati quasi a caso. Questo atteggiamento lascia intravedere, in un certo senso, il tipico tratto napoletano dell’arrangiarsi. Credete che questo peculiare modo di essere tutto napoletano, vi abbia in qualche modo influenzato nel modo di fare musica?

Senza dubbio! L’arte dell’arrangiarsi ha in realtà numerose sfumature e può esserti utile in tantissime occasioni quando fai musica. A volte anche comporre un testo in fretta e furia può essere il frutto di questa antica sapienza di napoletana memoria. Per quanto riguarda gli strumenti hai ragione, ci siamo affidati sia alla ricerca che al caso, perché è un po’a caso il mondo. Per il nuovo disco abbiamo avuto la fortuna di incontrare Peppe Treccia il 20 aprile del 2013. In un modo un po’ particolare ci siamo ritrovati per le mani questi strumenti costruiti interamente a mano, con cui lui faceva solo rumore. Senza sapere bene come funzionassero abbiamo provato ad utilizzarli ugualmente nel nostro ultimo album ottenendo un risultato inaspettato. Abbiamo avuto sempre la predilezione per l’artigianato, essendo noi musicisti artigiani. Già ai tempi di Carcarà eravamo in un certo senso la rappresentazione dell’arrangiarsi! In tanti ci riconoscevano per questo nostro modo un po’ sgangherato di proporci al pubblico, e nel tempo questo è diventato un elemento di forza in grado di contraddistinguerci dalle altre band in circolazione. Arrangiarsi si, sempre, soprattutto quando non ci sono soldi (perché si sa “O napulitan s fa sicc ma nu mor”).

Qualche sera prima di contattarvi mi trovavo allo spettacolo di Slava Polunin, uno dei più grandi clown tutt’ora viventi e mi siete venuti in mente voi ed un istante dopo Napoli è diventata l’enorme scenografia di un circo. Il progetto The Gentlemen’s Agreement  quanto ha attinto per la sua produzione musicale dal bagaglio culturale di Napoli?

Guarda io penso che l’aspetto teatrale in realtà faccia un po’ parte di una nostra dote innata (anche se non di tutti). In Carcarà abbiamo iniziato ad introdurre l’elemento della teatralità, in alcuni casi forse in modo addirittura un po’ azzardato. Con il disco “Da quando ci sei tu” siamo stati facilitati dal mood dell’album che ben si prestava ad un certo tipo di gestualità che potremmo definire un po’ da macchietta. L’esperienza del teatro fa comunque parte di un nostro bagaglio culturale, alcuni di noi si sono anche cimentati in questo senso, ma ti assicuro che la scelta non è stata voluta.

Mi state dicendo che è stata una cosa piuttosto casuale?

Si, se viene fuori questo aspetto durante i nostri live non è il frutto di un’azione studiata. Si tratta piuttosto di una peculiarità assolutamente personale e soprattutto spontanea. Siamo dei musicisti e non degli attori. Nonostante Napoli in tal senso abbia una lunghissima tradizione da cui attingere, la nostra teatralità in realtà è quasi del tutto involontaria ed in un certo senso indisciplinata. Nel nuovo concerto però questo aspetto lascia spazio ad un altro tipo ricerca, improntata più sul suono che non sul movimento.

Il vostro ultimo lavoro lancia un messaggio forte ed ambizioso, in totale controtendenza rispetto al modo attuale di fare musica. Avete completamente finanziato la produzione del disco attraverso il baratto. Una scelta coraggiosa a cui parecchie band non hanno mai pensato. Qual è l’idea di fondo che vi ha spinto a perseguire una strada difficile e poco battuta come questa?

Il caso! Ci sono stati degli avvenimenti, e soprattutto degli incontri, che ci hanno pian piano aperto un mondo. Il primo tassello di questo immenso puzzle è stato Stefano Manca grazie al quale abbiamo poi conosciuto altre importanti realtà. A partire da quel momento siamo venuti in contatto con una terra fantastica, il Salento, da dove è nato poi l’intero progetto. Grazie a questo lungo e complicato intreccio di incontri e conoscenze siamo entrati in contatto con l’azienda Agricola Piccapane che ci invitò a fare un concerto in cambio di una settimana di alloggio all’interno della sua azienda. Da questo incontro è nata la nostra esperienza e soprattutto l’idea di finanziare un disco attraverso la formula del baratto. È stata un’esperienza meravigliosa che ci ha permesso di entrare in contatto con tantissimi altri musicisti. Così in cambio di un mese di lavoro abbiamo potuto registrare il disco gratis. In realtà quella del baratto è una formula che abbiamo sperimentato in più occasioni e non solo nella registrazione del disco, perché se ci rifletti anche questo fa parte proprio di quella famosa arte di arrangiarsi di cui parlavamo poc’anzi.  In realtà noi non vogliamo insegnare niente a nessuno, ma siamo ansiosi di portare la nostra esperienza al mondo, soprattutto in abito musicale. Oramai l’industria musicale è in crisi e si fa quanto mai necessario un cambiamento radicale. Oramai i dischi non li compra più nessuno ed è stato necessario sperimentare altre strade che, per quanto possibile, escludessero l’utilizzo esclusivo del denaro. Abbiamo cercato di avviare collaborazioni, più che relazioni contrattuali, innescando così una serie di rapporti fruttuosi tutt’ora esistenti e a cui siamo incredibilmente grati. Il messaggio del disco in un certo senso è proprio questo, quello di cercare nuove alternative a questo stato di cose. Quando un sistema collassa bisogna inevitabilmente cercare nuove soluzioni e noi ci abbiamo provato. Questo discorso può essere applicato un po’ a tutti gli aspetti della vita. Ad un certo punto ci siamo trovati a ragionare sul come far uscire l’album e se appoggiarci o meno ad un’etichetta. La risposta ce l’avete sotto gli occhi! Ed in un certo senso questo è il disco che meglio aderisce alla filosofia dei The Gentlemen’s Agreement.

Tornando per un attimo al clima circense. I vostri concerti palesano una cura ed un’attenzione particolare alla costruzione della performance live. Non solo un concerto, ma a tutti gli effetti una sorta di spettacolo, proprio come suggeriscono le migliori tradizioni circensi. Avete conservato questo aspetto anche per il prossimo tour?

Certamente abbiamo mantenuto una certa attenzione all’aspetto scenico, anche se questa volta i nostri sforzi si sono concentrati in particolar modo sull’atmosfera, più che sulla gestualità. Il palco pullula di ogni tipo di strumenti ponti a ricreare in tutto e per tutto l’atmosfera mortifera ed opprimente della fabbrica. Oltre agli abiti, cuciti da una stilista indipendente, Simona Napolitano, si concede parecchio spazio alla strumentazione. Trapani, pialle e “rumori” di ogni tipo. Ultimamente siamo riusciti nell’intento di creare un set unico, dove si suona in piedi, creando una sorta di “mostro sonoro” molto bello da vedere anche scenicamente. Rispetto ai lavori precedenti potremmo dire:  un po’ meno teatro e molti più suoni!

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E proprio alla fine di questa lunghissima chiacchierata, durata forse più del dovuto, in tema di economia umana i TGA e la sottoscritta non possono fare a meno di salutare Enzo Trapani, una delle tante figure che -sottovoce e senza clamore- ruotano intorno a progetti come questo! Se siete curiosi di sapere chi è.. basta recarsi al Lanificio 25 e chiedere di lui!


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