Teatro di strada. Storia delle guarattelle napoletane


Quando parliamo di teatro non ci riferiamo sempre alla messa in scena di un’opera, all’interno di un edificio, dove alcuni attori si esibiscono dinanzi a un pubblico più o meno vasto; possiamo anche fare riferimento a un teatro all’aperto, meglio conosciuto come teatro di strada. Questa tipologia di spettacolo ha origini antichissime e comprende diverse performance artistiche. I primi artisti di strada furono i giocolieri e comparvero nell’antico Egitto. Venivano ingaggiati dai commercianti per esibirsi nei mercati e attirare l’attenzione dei passanti sui banchetti di vasellami facendo volteggiare piatti e coppe. Il termine giocoliere viene da jongleur che deriva dal latino joculator che a sua volta trae origine da jocus e cioè “scherzo” o “gioco”. Le prime esibizioni teatrali in strada comparvero, invece, nel Medioevo e si tenevano di solito all’esterno del sagrato della chiesa. Con il passare del tempo iniziarono ad attirare l’attenzione dei passanti storie che non avevano per protagonisti degli attori in carne ed ossa, ma delle emanazioni artificiali e più piccole quali le sagome, figure piane ritagliate e fissate a una bacchetta di legno per essere mosse; le marionette, fantocci completamente articolati dalla testa ai piedi, mossi dall’alto per mezzo di un sistema di fili; i burattini, pupazzi con corpo di stoffa e testa e mani generalmente di legno o cartapesta, manovrati con le dita di una mano. A Napoli i burattini comparvero intorno al XVI secolo con il nome di guarattelle, termine dialettale derivante da guarattino e cioè burattino.

Burattini, pupi e marionette

Il teatro delle guarattelle era un teatro vero nel quale anche i burattinai, detti guarattellari o guarattieri, dovevano essere attori per prestare la loro voce ai pupazzi protagonisti sulla scena, che dovevano essere in grado di esprimere qualunque tipo di sentimento umano. Qualsiasi parola detta doveva dare ritmo allo spettacolo. Generalmente le guarattelle avevano dei tratti ben definiti per poter ben rappresentare il proprio personaggio. In particolare gli occhi erano gli elementi più importanti. Quelli un po’ inclinati indicavano malizia, molto inclinati verso il basso suggerivano disgusto, se vicini fra loro risultavano infantili, se avevano la pupilla piccola diventavano inquietanti e così via. Le sensazioni dei pupazzi erano espresse anche attraverso il movimento. Se per esempio un burattino doveva esprime nervosismo si muoveva velocemente entrando e uscendo dalla scena. Per “scena” si intendeva solitamente una scatola di legno vuota. Le rappresentazioni riguardavano sia episodi di corte che di vita campestre e spesso criticavano gli usi e i costumi dell’epoca mettendo in ridicolo le classi governanti. Possiamo affermare che le guarattelle rappresentarono una prima forma di satira oggi solitamente affidata a numerosi comici televisivi.

guarattelle

Tra le figure più conosciute delle guarattelle napoletane vi era Pulcinella, la maschera tipica e simbolo di Napoli. Lo spettacolo, nella sua forma folcloristica, consisteva in una serie di combattimenti che il protagonista, Pulcinella appunto, iniziava con antagonisti differenti. Poteva litigare con gente del vicinato o scontrarsi contro esseri soprannaturali come la Morte o il Diavolo, oppure contro rappresentanti dell’ordine sociale quali dottori, giudici, preti e boia. I combattimenti terminavano spesso con la vittoria di Pulcinella che alla fine giocava con i cadaveri degli sconfitti. Alcune volte veniva invece ucciso, anche se poi resuscitava, in altre occasioni restava incinto e partoriva tanti piccola suoi sosia. L’obiettivo finale, però, era sempre ottenere la mano dell’amata Teresina.

Fonti: Roberto De Simone, Gennaro Vallifuoco, “Le guarattelle”, Sorrento, Franco Di Mauro Editore, 2003

Alessandra Ghidini, Francisco Javier Alvarez Garcia, “Fare teatro”, Bologna, Edizioni del Borgo, 2002

Alessandro Gilleri, Per Paolo Bisleri, “Lo spettacolo va in scena”, Milano, Franco Angeli, 2014


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