Il Lacryma Christi, l’antico vino nato dalle lacrime di Cristo versate sul Vesuvio


Sacro e antico vino ha il colore misterioso del fuoco infernale, il sapore della lava, dei lapilli, della cenere che seppellirono Ercolano e Pompei.

Con queste parole lo scrittore e giornalista pratese Curzio Malaparte cercava di spiegare il fascino irresistibile di uno dei vini più pregiati della Campania, nato dalle viscere del vulcano attivo più famoso d’occidente: il Lacryma Christi.
Ancora ne La Pelle, l’autore torna a parlare della bevanda che lo aveva folgorato inesorabilmente, esortando i lettori ad assaggiare “questo sacro, antico vino”.

Per apprendere le origini di questo vino occorre rivivere gli antichi miti ormai dimenticati mescolandoli alla cronaca storica ed al sentimento di devozione popolare più viscerale, senza tentare di scindere il mito dalla realtà poiché solo fusi assieme riescono a perpetuare la magia di un vino e della terra da cui è sorto.

La leggenda narra che Lucifero, l’angelo cacciato dal Regno dei cieli, cadendo verso gli inferi strappò un lembo di paradiso per farne il golfo di Napoli ed infine sprofondò creando una voragine da cui si sarebbe poi generato il Vesuvio; Gesù, accortosi dell’accaduto, riversò le sue lacrime di dolore sul vulcano, rendendo fertili le terre alle sue falde e pregiati i vitigni che vi sorgevano.

Ancora un’altra mitica versione dei fatti sostiene che, invece, il vino avrebbe avuto origine nel momento in cui Gesù, durante uno dei suoi numerosi pellegrinaggi in giro per il mondo, per trovare ristoro comparse sotto mentite spoglie presso la casa di un eremita. Prima di congedarsi finse di avere sete per testare la generosità dell’uomo che, mostratosi disponibile a condividere la sua acqua con uno sconosciuto, la vide trasformarsi in ottimo vino in segno di riconoscenza.

L’ultima delle versioni leggendarie riguardo la genesi delle viti vesuviane da cui nasce questo prezioso nettare di Bacco sembra fondere i due racconti precedenti, evidenziando la loro dimensione fantastica di narrazioni tramandate a voce di generazione in generazione.

Questa parla di come Cristo, dopo aver scalato il Monte Somma, rimase estasiato dinanzi al panorama partenopeo e, commosso da tutto quello splendore, esclamò: “Proprio un pezzetto di Paradiso questo: peccato che i suoi abitanti siano dei peccatori” e pianse irrorando di lacrime il terreno. Alcune contadine piantarono lì delle viti che generarono il Lacryma Christi.

La realtà storica, sicuramente meno suggestiva ma altrettanto fascinosa, indica come il vino vesuviano era conosciuto ed apprezzato sin dall’epoca degli antichi romani, come afferma una celebre frase dell’autore latino Marziale, pronto a sostenere ciecamente che “Bacco amò queste colline più delle native colline di Nisa“.
Sallustio e Plinio, oltre a Marziale, sono solo alcuni dei poeti latini che accennano alla viticoltura nei loro scritti.

Le falde del Vesuvio, com’è noto, ospitavano un folto numero di ville rustiche. Alcune delle ville rinvenute presentano una morfologia strutturata in funzione della produzione del vino e della coltivazione della vite, fungendo da ulteriore testimonianza della diffusione di questa coltivazione.

Anche la presenza del Dio del vino nell’affresco conservato nella Casa del Centenario a Pompei, dove viene immortalato mentre è intento a presidiare fieramente le pendici del Vesuvio, testimonia la diffusione di questo tipo di bevanda e la sua copiosa produzione nell’attuale provincia napoletana. Bacco si trova inciso in moltissime altre produzioni artistiche romane salvate dall’eruzione del 79 d.C.

Probabilmente bisogna risalire al V secolo a.C. per individuare il periodo in cui un gruppo di tessali colonizzò la zona estesa a ridosso del declivio vesuviano, come sostiene Aristotele. Con ogni probabilità si trattava degli Aminei e proprio grazie a loro vennero coltivati i primi vigneti approfittando del terreno vulcanico e poroso particolarmente fertile grazie alle eruzioni che si erano susseguite nei secoli.

I lapilli e la lava raffreddandosi si fondevano col suolo, creando un aggrovigliato impasto solidificatosi in pietra minerale. Quest’ultimo ancora oggi rilascia preziosi cristalli fertilizzanti donando all’uva vesuviana una forte mineralità.

In seguito i frati Cappuccini conservarono gelosamente i segreti di questo vino. Questi risiedevano nella “Turris Octava”, un vecchio insediamento, un tempo dei romani, distante otto miglia da Napoli. Pare che si deve anche ai cappuccini la nascita dell’agglomerato urbano che poi ha assunto il nome di Torre del Greco.

Attualmente il Lacryma Christi continua ad inebriare la popolazione del territorio vesuviano con il suo gusto corposo ed ha ricevuto la denominazione DOC solo nel 1983 nonostante la sua storia secolare. Viene prodotto con vigneti autoctoni in quindici comuni della provincia di Napoli appartenenti al Parco Nazionale del Vesuvio, zona pedemontana votata alla viticoltura.

I vitigni più diffusi sono il Coda di volpe utilizzato per il Lacryma Christi Bianco ed il Piedirosso usati per il Lacryma Christi Rosato e Rosso. Tra gli altri, per creare questa miscela ben riuscita vengono utilizzati anche l’Aglianico e la Falanghina, rispettivamente per il rosso ed il bianco.
Annualmente il 90% della produzione vesuviana viene denominata Lacryma Christi e riguarda i vini che superano i 12% di gradazione, mentre solo 2.000 ettolitri ricevono la semplice denominazione “Vesuvio”.

Fonti:https://it.wikipedia.org/wiki/Lacryma_Christi
http://www.lacooltura.com/2015/07/lacryma-christi-la-leggenda-del-vino/
http://www.turismo.it/gusto/articolo/art/lacryma-christi-inebriante-nettare-del-vesuvio-id-9463/


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