Sciuscelle: da merendine dei napoletani di un tempo a modo di dire. Ecco cosa significa


Viviamo in tempi di relativa ricchezza, dando per scontati piaceri o semplici vantaggi che i nostri nonni o, addirittura, i nostri genitori si sarebbero sognati. Così, ci risulta difficile immaginare che un tempo non molto lontano, a Napoli, anche la cioccolata era un lusso per pochi ed i bambini erano costretti ad accontentarsi di quello che trovavano, ad esempio delle sciuscelle.

Questo era il modo con cui a Napoli vengono chiamati i frutti del carrubo: un albero che cresce facilmente anche senza un clima favorevole. Ad esempio, la zona circostante a Port’Alba era disseminata di queste piante al punto che l’antica entrata viene chiamata ancora oggi “Porta Sciuscella”. Proprio per la semplicità con cui crescono, i frutti del carrubo sono usati come foraggio per i cavalli, ma i semi sono usati anche nella preparazione di medicinali e la farina è largamente impiegata nell’industria dolciaria.

I bambini napoletani, però, tutto questo non lo sapevano: a loro interessava solo che quei baccelli marroni e morbidi fossero particolarmente dolci e morbidi da addentare. Insomma, per anni le “sciuscelle”, o carrube, sono state le sostitute delle attuali merendine. Nonostante, oggi, vengano usati in cucina quasi esclusivamente per la preparazione di brodini e zuppe, la diffusione di questi frutti li ha fatti entrare così tanto nella cultura popolare che il termine “Sciuscella” è ancora molto utilizzato.

In tale modo si definisce un oggetto fragile o poco durevole, ad esempio qualche vecchio mobile creato con legno scadente, oppure una persona smunta ed emaciata che sembra reggersi in piedi a fatica. Modo di dire trarrebbe origine dell’estrema malleabilità dei frutti ed è generalmente usato in modo dispregiativo. Resta solo un dubbio, adesso, capire perché a Napoli il carrubo ha preso il nome di sciuscella.

Mentre il termine italiano deriva dall’arabo “harruba”, il napoletano “sciuscella” trarrebbe origine direttamente dal latino. Deriverebbe infatti dal termine “iuscellum”, cioè “brodino”. Questo ricollega il nome napoletano al modo principale in cui viene cucinato il frutto ed al modo di dire ad esso collegato: quindi qualcosa di cedevole, morbido e malleabile come un brodino acquoso.


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