Cinema: Salvatore Giuliano e il tradimento della Sicilia libera

Salvatore Giuliano film


“Sicilia svegliati! Troppo hai adorato questo sonno vergognoso e in questo triste sogno tutto hai perso, anche l’onore. Orsù tuonate forte le trombe, e tu non deve più dormire, perché dormir sarebbe morte! Rose…rose, rose bianche di Sicilia, diventerete rosse col nostro rosso sangue, ma i figli, i figli dei figli vivranno liberi in terra libera e potranno alzar la fronte al cielo e sorriderci nell’avvenire”.

Oggi, prendendo spunto dalla marcia per l’indipendenza della Sicilia dello scorso 30 Marzo, e dalla questione del referendum per l’indipendenza del Veneto, per la nostra rubrica L’illusione del cinema parleremo del film “Salvatore Giuliano” (1962) del regista napoletano Francesco Rosi, che ruota attorno alla figura di Turiddu, il colonnello dell’EVIS che ha combattuto dal 1945 in poi per l’indipendenza della Sicilia, anche se nella pellicola Giuliano sarà piuttosto un fantasma in quanto pronuncerà pochissime parole e non verrà inquadrato se non come cadavere.

Il film di Rosi, dopo i titoli di testa, si apre con una didascalia in cui si legge che è girato a Montelepre e Castelvetrano, nei luoghi in cui la vicenda reale si è svolta, compreso il cortile dove fu ritrovato il suo corpo senza vita di Salvatore Giuliano; questo elemento, insieme all’utilizzo di una voce fuoricampo durante le due ore di pellicola, dà al lavoro uno stampo documentaristico. Con una fotografia impeccabile, sempre ben bilanciata che fa di ogni fotogramma un quadro, Rosi ritrae una Sicilia semplice, polverosa, bianca, lontana dalla civiltà; una Sicilia primitiva che si legge sui primi piani dei “banditi”, sull’erba bassa e arida dei monti, che si ascolta dalle urla sofferenti della madre di Giuliano e dal chiasso delle donne che si oppongono a che i mariti, i figli, i fratelli, i nipoti siano deportati a Palermo – una Sicilia che è soltanto Sicilia, che sa di essere incompresa e basta a se stessa: “Che ne può capire lei della Sicilia?”, dice un acquaiolo al giornalista romano che gli ha chiesto cosa pensa di Giuliano. L’opera del regista napoletano non ha una struttura lineare, in modo da alternare i momenti del processo per l’eccidio di Portella delle Ginestre a dei flashback che ricostruiscono i suoi antefatti e le vicissitudini di Giuliano e della lotta indipendentista, una ricostruzione dei fatti sulla base di documenti e resoconti della stampa che riesce a rendere in modo perfetto come il caso Giuliano sia un caso avvolto da misteri, contraddizioni, verità nascoste e intrighi. Il film mostra sin dall’inizio la fallacia delle versioni ufficiali dei fatti date dai Carabinieri, e prosegue mettendo in luce i rapporti oscuri tra i militari, la politica e la mafia: collaborazione tra Carabinieri e mafia per estinguere la banda di Giuliano, il tutto orchestrato dalla politica (rilevante il ruolo della Democrazia Cristiana) che alla fine non esiterà a liberarsi di tutti quelli che sapevano, ponendo il segreto di stato fino al 2016 sul caso Giuliano. Fu Gaspare Pisciotta (interpretato da Frank Wolff), cugino e braccio destro di Turiddu, a tradirlo, dopo essere stato manipolato, collaborando prima con la Polizia e poi coi Carabinieri e ad ammazzarlo. Pisciotta, incriminato per la strage di Portella delle Ginestre dove furono uccisi militanti del Partito Comunista in festa dopo aver sconfitto la DC, azione ordinata da un Giuliano ormai ridotto a burattino dai veri mandanti che sono rimasti ignoti, dopo essere stato condannato all’ergastolo dichiarò che per vendicarsi nei confronti dei burattinai di Roma, facendo pure un paio di nomi di esponenti della DC, avrebbe detto tutto quello che sapeva nel processo per la morte di Giuliano, ma, come è facile intuire, non ci riuscì: fu avvelenato nella sua cella con della stricnina messa nel caffè che egli stesso si preparava ogni mattina. La questione dunque del marcio e della corruzione presente nello Stato Italiano, con la politica che si identifica con la mafia, è centrale nel capolavoro realista di Rosi, tanto che farà ripetere a Frank Wolff le parole esatte dette da Pisciotta: “Banditi, politici, mafia: eravamo una cosa sola!”. Turiddu, il protagonista fantasma, non è personaggio ma è un’idea, è l’ideale di libertà fatto straccio e ingannato, tradito, dissolto.

 

Salvatore Giuliano

Una foto di Salvatore Giuliano

Altra questione centrale del film, seppur non esplicita come quella appena descritta ma da leggere tra le righe, è l’indipendenza della Sicilia. Il MIS, Movimento Indipendentista Siciliano, voleva staccarsi da quell’Italia che l’ha messa a ferro e fuoco e non riuscendoci, anche per le violenze e le uccisioni subìte dalle forze dell’ordine italiane, accettò l’alleanza con l’EVIS, Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia, avendo constatato che bisognava per forza sporcarsi le mani per non soccombere, e che la stessa Italia fu fatta da Garibaldi servendosi dei picciotti, i mafiosi. Proprio la mafia, con gli Stati Uniti e l’Inghilterra, premevano per l’indipendenza anche se non per motivi ideologici, bensì di convenienza. Giunta nel 1946 l’autonomia della Sicilia, per cui senza indipendenza e continuando a far parte dell’Italia, Giuliano decise di non abbandonare le armi divenendo perciò scomodo, e da qui il piano per il tradimento di Turiddu e l’eliminazione successiva di tutti i traditori: ancora una volta non c’è spazio per la libertà, per gli ideali che sono soltanto strumenti di ricatto da dimenticare quando il basso scopo è raggiunto, un’indipendenza che tra l’altro i soldati settentrionali inviati a catturare Giuliano darebbero alla Sicilia ben volentieri – “Cosa aspetta l’Italia a dare l’indipendenza a questi qui?” si chiede uno, e un altro si lamenta di essere stato mandato tra quei zulù: in altre parole, si chiedono il motivo di combattere per tenere unito un Paese non unito.

Invitandovi a commentare per dire la vostra, a riflettere e contribuire alla messa in luce di tutti gli aspetti possibili del film, vi lascio con  il trailer di “Salvatore Giuliano”.

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