La parabola degli italiani e dei migranti moderni: dal linciaggio negli Usa a Castel Volturno


Castel Volturno è un porto franco. Chi arriva sulle nostre coste dopo aver attraversato il Mediterraneo su mezzi di fortuna, in  bilico tra la vita e la morte, alla fine si ritrova nelle campagne del Casertano, senza permesso di soggiorno, dopo aver abbandonato l’ancor più tragica situazione dei centri di accoglienza. E’ la parabola di quello che gli italiani subivano venti anni dopo l’Unità d’Italia, quando l’Italia, nel pieno di una taciuta guerra civile, costrinse milioni di connazionali ad abbandonare la loro terra in cerca di fortuna negli States. Qui gli italiani erano considerati pericolosi, molesti, ladri di lavoro.

A loro era affidata la manodopera a basso costo, lavoravano nei campi, in miniera o in fabbrica. Gli italiani negli States riuscirono ad integrarsi dopo anni di segregazionismo razziale, di scontri con gli americani, dopo il Linciaggio di New Orleans (durante il quale una folla di cittadini assalì una prigione e uccise a sassate 11 italia). I nostri connazionali, poco più di un centinaio d’anni fa, tendevano a riunirsi in comunità ed occupare edifici abbandonati, versandoli nel degrado.

Rappresentazione del Linciaggio di New Orleans, 1891

Erano emarginati rispetto alla società civile, posti in secondo piano, capro espiatorio dei crimini comunitari. Alcuni lavoravano duramente, furono baluardo di onestà, spesso sgobbando per pochi soldi, altri scelsero una vita più semplice, finirono in carcere, si organizzarono in gruppi malavitosi o semplicemente non fecero nulla. E allora erano marchiati come nullafacenti a carico della buona e generosa borghesia americana.

Oggi, a Castel Volturno, che è il porto franco dei migranti, molte cose hanno il sentore di quei tempi. Nell’ex Parco Saraceno quasi tutti i palazzi sono occupati illegalmente, versati nel degrado. Alla “rotonda” un gruppo di ragazzi aspetta di andare a lavorare nei campi. Altri spacciano. Altri ancora girano in bicicletta, quelli sono nullafacenti. La storia talvolta è un susseguirsi di corsi e ricorsi, posti sotto prospettive diverse.

Basta compiere un confronto, e allora non è poi così difficile immedesimarsi in uno di questi ragazzi, non è poi così lontana quella realtà, quel bisogno di trovare casa in un luogo che ci appare ostile. L’illegalità non si giustifica, non dipende dalla razza e dall’estrazione di base, chi lavora a stretto contatto con la camorra, o comunque vive nell’illegalità, indipendentemente dal luogo in cui si trova e dalle motivazioni che lo spingono a farlo, non è da compatire. Generalizzare, però, è un pericolo, è il trampolino di lancio del populismo, della violenza e di ideologie che la promuovono.


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