Strage di Castel Volturno: storia di razzismo e criminalità che generano periferia


La questione razzismo è un argomento -anacronisticamente- attuale. La “crisi dei migranti” ha tirato fuori il peggio da alcune persone, che hanno visto nell’odio razziale il capro espiatorio di tutti i mali del Paese. Esattamente dieci anni fa a Castel Volturno, in provincia di Caserta, si consuma un massacro insensato.

E’ il 18 agosto 2008, circa le sette di sera, un commando armato di camorristi sfila davanti la sede dell’Associazione Nigeriana Campana di Castel Volturno ferendo sei persone, miracolosamente lasciando illesi i quattro bambini presenti all’interno della struttura – obiettivo del raid era Teddy Egonwman, presidente della suddetta associazione, interprete per la polizia dello stato e attivo alla lotta al racket della prostituzione gestito da parte della comunità nigeriana di Castel Volturno in associazione con i clan camorristici locali.

La strage vera e propria si consuma esattamente un mese dopo, il 18 settembre, una data meccanicamente studiata per risultare nello stesso giorno del primo raid fallimentare. Questa volta l’obiettivo è la sartoria Ob. Ob. Exotic Fashions, che gli stragisti si mobilitano a raggiungere dopo aver giustiziato singolarmente il proprietario di una sala slot di Castel Volturno, anche lui con precedenti malavitosi – tale passaggio ritarda l’orario del raid alla sartoria, compiuto alle 21, le modalità, invece, sono identiche: due moto e un furgone sfilano dinanzi all’obiettivo ed aprono il fuoco per oltre trenta secondi, falciando la vita di sei persone.

Le vittime, secondo quanto riportato dalle indagini, sono innocenti. Nessuno di loro si trova invischiato con affari malavitosi, alcuni hanno il permesso di soggiorno, altri no, ma sono tutti in Italia per lavorare, tra di loro un carrozziere, tre muratori e un barbiere. Fondamentale fu la collaborazione di una delle vittime, rimasta miracolosamente viva fingendosi morto, che permesi agli investigatori di risalire agli esecutori della strage.

Le motivazioni della strage sono incerte, le prime ipotesi prefiguravano un regolamento di conti nei confronti della così detta “mafia nigeriana” per il controllo del mercato della droga e prostituzione nella zona. Altra ipotesi vedono la strage come atto intimidatorio nei confronti della comunità africana, che solleverebbe -realisticamente- motivazioni prettamente razziali dietro un gesto di tale violenza.

Indipendentemente dall’obiettivo, dalle vittime e dai carnefici, questa è una storia che va raccontata, è un momento sbagliato della nostra storia in cui criminalità e violenza risultarono gli ingredienti necessari ad una delle più efferate e terribili stragi razziali in Italia. In un momento storico in cui i veri problemi vengono nascosti dietro futili faide tra poveri, è bene fare un passo indietro, cercare di guardare ai fatti con obiettività, dandosi autonomamente uno spunto di riflessione su una questione spinosa come quella razziale.

Castel Volturno è una città meticcia, dove la comunità africana rappresenta una buona parte della popolazione locale: un porto franco per migranti in cerca di un futuro, nodo di transito verso altre parti d’Italia. Inutile dire che l’affluenza di un numero di persone maggiori alla capienza possibile del paese hanno generato situazioni di degrado e abusivismo, dovute all’incuria del governo, con buona pace di coloro che hanno fatto di quest’abusivismo un business. La dove si crea degrado, la ghettizzazione completa l’opera – uno squarcio tra la popolazione locale e gli “invasori” spacca la normale convivenza, generando violenza; Il degrado, poi, contribuisce alla delinquenza, sotto lo sguardo vigile della camorra autoctona.

La soluzione non è semplice, ma la si trova con la collaborazione, non con la forza – le controparti per il dialogo esistono, e devono comunicare al rifacimento (in primis urbano) dell’area, lavorando sul fattore sociale. Non si tratta di sgomberare intere aree lasciando persone per strada, ma di ‘regolarizzare’ le strutture già esistenti (a partire da quelle confiscate alla camorra, come per l’esempio del Parco Faber di Castel Volturno) per renderle vivibili e fruibili per tutti (senza nessuna esclusione) coloro che hanno necessità di reintegrarsi con la società.

Fuori dalla retorica semplicistica del giornalismo, il monito finale è uno solo: il razzismo e la camorra sono due elementi che possono sembrare distanti, ma che hanno un fondamentale punto in comune: entrambe sono generate dall’ignoranza.


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