‘O zeppularo: quando friggere a Napoli era un’arte


Comunque vada, sarà un peccato: di gola se la si mangia, un gran rammarico se non lo si fa. Nessuno mandi, però, la zeppola a “farsi friggere”, perché è proprio così che quel “diavolo tentatore” d’o’ zeppularo preparava questo irresistibile impasto di farina, acqua, sale e in alcuni casi anche di patate, il tutto spolverato con una dolcissima coltre di zucchero o zucchero a velo, o ancora ripieno di crema pasticcera e guarnita con un’amarena.

Il primo a farlo ufficialmente fu il celebre gastronomo napoletano Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, autore del saggio “Cucina teorico-pratica”. Proprio in questo testo, infatti, è riportata la ricetta per fare le famose zeppole di San Giuseppe, oggi la variante più tipica di questa prelibatezza dolciaria: “Per fare le zeppole, piatto di rubrica in Napoli farai la pasta bugné. Fatta questa pasta, la porrai sulla tavola di marmo, o sul pancone verniciato d’oglio e rimenerai la pasta, della stessa ne farai tanti tortanetti, non molto piccoli, e li friggerai con strutto bollentissimo, potrai ancora con oglio; appena fatta una piccola crosta li rivolterai, e con un ferro puntato espressamente o con un puntuto di legno li pungicherai dovendo vuotarsi così ed allora le zeppole saranno ottime…”. Era il 1837 e già centinaia di migliaia di zeppole erano sicuramente giù state cucinate e mangiate.

Già, perché la tradizione delle zeppole risalirebbe addirittura all’antica Roma e alla festa delle Liberalia, celebrata in onore della divinità del vino, Bacco, e di quella del frumento, Sileno, in onore del quale erano appunto cotte delle ciambelle di frumento. Proprio da quest’ultime deriverebbero le zeppole di San Giuseppe, oggi consumate soprattutto in occasione della festa del papà, il 19 marzo. La tradizione e la leggenda di questo dolce sono legate ad un’antichissima storia tramandata da secoli. Si narra, infatti, che dopo la fuga in Egitto con Maria e Gesù, San Giuseppe fu costretto a cucinare e vendere frittelle per sfamare la Sua Famiglia. Secondo altre fonti, però, le zeppole in passato venivano preparate verso la fine di marzo più che altro per festeggiare la fine dell’inverno, durante i riti di purificazione agraria. La tradizione racconta, comunque, che in questa data, nella città di Napoli, i friggitori erano soliti esibirsi pubblicamente nelle piazze e nelle strade del centro per mostrare ai cittadini l’abilità di friggere le zeppole davanti alla propria bottega.

Non è dato sapere con certezza nemmeno chi davvero abbia inventato le zeppole di San Giuseppe nella loro versione attuale, che sembra nascere comunque come dolce conventuale: secondo alcuni nel convento di S. Gregorio Armeno, secondo altri in quello di Santa Patrizia. Ma c’è anche chi ne attribuisce “l’invenzione” alle monache della Croce di Lucca, o a quelle dello Splendore.

Ciò che è certo, comunque, è che quella di San Giuseppe è solo l’ultima, in ordine cronologico, di una serie di varianti della zeppola. Infatti, prima che Ippolito Cavalcanti ne sancisse ufficialmente la nascita, esistevano già:

– La zeppola classica: la più antica, a forma di ciambella, si fa con semplicità, impastando della farina passata al setaccio con acqua e sale. Dall’impasto, liscio e morbido, si ricavano delle ciambelle, che vengono fritte nell’olio caldo (ma non bollente), quindi asciugate e spolverate con zucchero e/o cannella. Prima dell’avvento dello zucchero, al suo posto si usava il miele: prima dell’olio di oliva c’era lo strutto.

– La graffa: identica nella forma alla zeppola classica: a forma di ciam bella ricoperta di zucchero e cannella. Si differenzia per il tipo di impasto che prevede anche le patate per una maggiore morbidezza. Deve il suo nome al Krapfen, dolce austriaco di forma tonda ma non a ciambella e diversamente dalla Graffa, ripieno di crema. Il nome del Krapfen deriva da Veronica Krapf, fornaia austriaca che l’ha inventato.

– La zeppola pastacrisciuta è una zeppola salata. Omonima ma diversa, anche nella forma, dalle altre zeppole. E’ come una pallina di pochi centimetri che si ottiene facendo cuocere nell’olio bollente un pizzico di pasta lievitata. Ancora oggi essa si acquista nelle tante friggitore napoletane assieme ai “panzarotti” (crocchè di patate). E’ a tale zeppola che si fa riferimento per indicare un difetto di pronuncia che riguarda la esse e la zeta.


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