Mo’ vene Natale nun tengo denare…le origini della filastrocca cantata da Carosone


Mo’ vene Natale nun tengo denare me fumo na pippa e me vaco a cuccà. Natale non è solo luci, cibo e regali ma anche povertà e senso di malinconia. E così questa filastrocca l’abbiamo sentita cantare soprattutto a persone di una certa età che hanno vissuto il dopoguerra tra la fame e gli stenti. Ma nonostante tutto, con la gioia nel cuore di sapersi accontentare e godere di quel poco che la vita gli potesse offrire.

Le origini di questa filastrocca sono antichissime, forse di nascita sicula “Mo’ vene Natale e u ttegnu dinari; mi pigghiu a pippa e mi mindu a fumari!“, riadattata successivamente dall’estro e dal genio di Renato Carosone che ne fece una canzona di successo esportandola nelle case di tutte le famiglie napoletane e cantata da intere generazioni. Quel ritornello è stato modulato così “Mo’ vene Natale e u ttegnu dinari; me leggio ‘o giurnale e me vaco a cucca”.

https://www.youtube.com/watch?v=tvtjpw6vtXU

Un dono prezioso quello dell’artista napoletano, perché grazie alla sua voce la filastrocca è stata tramandata e ancora oggi, sebbene in disuso tra i più giovani, viene canticchiata nei giorni delle festività natalizie. Tantissime cose sono cambiate rispetto a quando quelle parole documentavano una situazione di profonda povertà e della capacità innata del popolo napoletano di saper affrontare e superare quelle difficoltà, rallegrandosi nonostante un portafoglio vuoto.

I tempi sono cambiati e sembrano mal adattarsi a quelle espressioni. Esiste una finta ricchezza e quello spirito sembra essere perduto tra il consumismo sfrenato e la cecità di molti, incapaci di cogliere il significato religioso del Natale.


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