Museo del Mare di Napoli: la Nave – Asilo Caracciolo


Li si vedono ancora oggi per le strade di Napoli: le ginocchia sbucciate, il viso sporco e il sorriso gioioso mentre corrono dietro a un pallone. Sono gli scugnizzi della città che popolano le vie, le piazze, i quartieri rionali. Oggi questi bambini hanno un futuro incerto e una strada tutta in salita davanti a loro; eppure in passato venivano guidati, tutelati e indirizzati verso un domani migliore. In che modo?
Grazie alla Nave – asilo Caracciolo.

Il Museo del Mare di Napoli custodisce l’Archivio Civita, il mezzo che consente oggi di capire cos’era la Nave-asilo Caracciolo. Dal 1913 al 1928 in effetti centinaia di bambini napoletani, i cosiddetti figli della strada, figli della plebe, venivano accolti su questa grande Nave, salvandoli quindi da una vita di stenti, di povertà, di degrado e spesso di violenza e miseria. I caracciolini, così venivano chiamati i bambini della plebe provenienti da situazioni familiari molto difficili e problematiche, che grazie al metodo messo in piedi da Giulia Civita Franceschi, un’educatrice partenopea, conosciuta con il nome “la Montessori del mare”, divenivano in pratica da scugnizzi a marinaretti, studiando e facendo una vita più dignitosa secondo regole di cameratismo, secondo principi comunitari, valorizzazione della disciplina e letture collettive per combattere l’analfabetismo.

Momento di lettura dei marinaretti.

Momento di lettura dei marinaretti

La Nave Caracciolo divenne un metodo educativo conosciuto in tutto il mondo, in quanto non era un orfanotrofio, né un riformatorio; semplicemente Giulia Civita Franceschi li accoglieva, scalzi e denutriti, e poi li “rimodellava” insegnando loro l’educazione con l’istruzione, l’affetto e lo stare insieme. Infatti la documentazione più importante, come spiega Maria Antonietta Selvaggio, docente di sociologia all’Università di Salerno, sono le foto che Giulia Civita Franceschi faceva ai suoi scugnizzi, prima e dopo l’arrivo alla Nave Caracciolo. Molti di questi ragazzini intrapresero una vita militare in Marina, frequentando l’Accademia e cambiando quindi totalmente il loro destino. Tramite i nipoti e i vari eredi dei piccoli caracciolini è stato possibile assemblare un corposo archivio che raccogliesse tutte le corrispondenze dei marinaretti, le lettere, scritti autografi e le innumerevoli cartoline che questi scugnizzi, ormai giovanotti, inviavano ancora alla loro “educatrice”, riconoscenti di come la loro vita fosse cambiata in meglio.

Giulia Civita Franceschi con i suoi caracciolini.

Giulia Civita Franceschi con i suoi caracciolini

L’esperienza della Nave Caracciolo si arrestò bruscamente nel 1928 quando il regime fascista inglobò la Nave nell’Opera Nazionale Balilla, privandola del suo spirito originario e mutilando la sua autonomia. Grazie ai tanti documenti e agli articoli di giornali è stato possibile “rispolverare” la storia della Nave Caracciolo attraccata al Molo Beverello e con essa rivivere la storia dei piccoli scugnizzi, i bimbi della povertà, che così trovarono una famiglia, impararono a leggere e a scrivere, potendo sperare in futuro più luminoso. Nel 2009 si è svolta una bella mostra al Museo del Mare, intitolata “Da scugnizzi a marinaretti”, dedicata pertanto alla storia di questa miracolosa Nave. Oggi invece che fine faranno i nostri scugnizzi di quartiere? Potranno sperare di trovare “asilo” e un futuro altrettanto positivo? Forse dovremmo imparare di più dal nostro passato?

 

 


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