Le ciociole napoletane: ‘o spassatiempo ‘e Natale


Siamo ormai agli sgoccioli di quella che per molti è stata una lunga attesa, il Natale è davvero alle porte e bussa anche prepotente.

Nelle cucine di tutta l’Italia c’è un gran fermento per l’organizzazione della Vigilia e del giorno di Natale, ma quelle che a noi piacciono di più, forse perché siamo di parte, sono le cucine del Sud. Frigoriferi gonfi di cibo, dolci sparsi in ogni angolo della casa, pentole che borbottano ormai da ore e un profumo di festa grande che si estende in ogni parte, è giunto il momento di tirare le somme.

Struffoli, roccocò, raffiuoli, cassate, panettone, mostaccioli, tutto fatto? Le verdure per la minestra ci sono tutte? I broccoli di Natale li avete comprati? Se avete risposto di si a tutte queste domande, allora niente panico siete a buon punto, ma di sicuro non avete terminato. Facendo il riepilogo, secondo voi, cosa manca? Vogliamo dirvelo noi, ‘e ciociole.

Da anni ormai, le tavole natalizie dei napoletani, non possono essere definite complete se a fine pasto non entra in scena ‘o spassatiempo, il classico cesto da mettere al centro del tavolo dove sono raccolte ‘e ciociole. Avete capito di cosa stiamo parlando? Ovviamente della frutta secca.

Noci, castagne, noccioline, mandorle, fichi secchi, tutte raggruppate in un cesto, pronte ad essere gustate tra una chiacchiera e l’altra. La cosa bella delle ciociole in effetti è proprio il fatto che non vanno preparate prima, ma solo mangiate al momento giusto per trascorrere il tempo in compagnia chiacchierando in attesa dell’apertura dei regali, o ancora meglio durante qualche partita di tombola, le bucce delle ciociole infatti, ancora oggi vengono utilizzate come segna numeri spartani per le cartelle al momento della tombolata.

Il nome “ciociole” che in  napoletano sta appunto ad indicare la frutta secca che si sgranocchia a fine pranzo, nasce secondo alcuni  da “sciosciole”, secondo la voce mediteranea “ciocio” ovvero sciocco, per indicare quindi qualcosa che rappresenti cianfrusaglie o sciocchezze di poco conto, come si potrebbe pensare appunto della frutta secca che nel giorno di Natale, in tutto il menù è la cosa meno elaborata (anche se molto apprezzata) e quindi più “sciocca” sulle nostre tavole.

Altre persone, appartenenti ad una diversa scuola di pensiero, sostengono che il termine ciociole possa rappresentare una parola onomatopeica, dovuta al suono che le noccioline producevano (tipo cio cio), quando venivano agitate tra le mani per essere raffreddate, dal momento che prima erano servite tostate.

Qualunque sia l’origine reale del nome “ciociole”, una cosa è certa, senza di loro il Natale non sarebbe lo stesso, ed è per questo infatti che il momento migliore è proprio quello in cui sulle tavole arriva ‘o spassatiempo, le donne finalmente finiscono di fare avanti e indietro tra cucina e tavolata, le pietanze da cucinare sono terminate e tutti possono godere dell’unione familiare sgranocchiando ciociole e chiacchierando in modo tranquillo e spensierato.

Vogliamo proporvi un poesia firmata Gianna Caiazzo, trovata sul web, dove dettagliatamente e in modo del tutto tradizionale viene spiegato quello che realmente rappresenta ‘o spassatiempo per le famiglie napoletane nei giorni di festa.

-‘O spassatiempo-

Granone abbrustuluto e ‘mmericane
semmente, pistacchie, cicere ‘ntustate,
p’ accuntentà a mmugliereta, ê ccriature,
ô nonno, â nonna  e ppure ê cainate.

 Nun ce sta pranzo dint’a ‘sti quartiere
ca nun fernesce cu cchistu capriccio,
‘nfra ‘na resata e ‘nu bicchiere ‘e vino
‘na chiacchierata  e ‘na battuta ‘e spiccio.

 Mo se cuntratta cu cchello ch’è avanzato:
diece  semmente pe qquatto ‘mericane;
cchiù pe ‘nu rito ca pe ‘nu ‘nteresse
se fa ‘o bbaratto comm’a ‘nu mercato.

 ‘Nu pugno ‘e cicere cade dint’ ô vino
 e llà rummane fino a sse spugnà;
quanno sarranno tiennere a puntino
t’’e mmagne a ssurze, senza mastecà .

 Po’ chianu chiano ‘a chiacchiera se smorza,
quacche rresata ancora se ne va,
fernesce dint’a ‘na muntagna ‘e scorze
chistu mumento ‘e cunvivialità.

 


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