“‘O cchiù bunariello tene ‘a guallera e pure ‘o scartiello”: cosa significa?

i Brutos


La lingua napoletana è costellata di detti e sfottò utilissimi a prendere in giro qualcuno senza mai trascendere nell’offesa vera e propria o nella volgarità. Spesso questi detti si basano sull’estremizzare i difetti presi di mira, fino a trasformarli in situazioni comiche ed immagini grottesche. “‘O cchiù bunariello tene ‘a guallera e pure ‘o scartiello” (il migliore ha l’ernia ed anche la gobba) rientra sicuramente in questa tipologia di frasi. Viene usato per definire un gruppo di persone che certamente non si contraddistingue per abilità o per qualche capacità.

Sarà capitato a tutti di giocare una partita a calcetto con una squadra di pigroni, buoni solo a rimanere in porta, ad esempio, oppure di osservare un gruppo di ragazzi fra cui nessuno spiccava particolarmente in bellezza. Ebbene, in questi contesti, l’espressione “”‘O cchiù bunariello tene ‘a guallera e pure ‘o scartiello” è ideale. Qualcuno, più malizioso, potrebbe anche trovarla adeguata a definire la nostra classe politica. In ogni caso, il detto è ironico sin dal principio, con l’uso del termine “bunariello”: in napoletano, questo diminutivo di “buono” non è mai un complimento, ma indica qualcosa di mediocre, passabile, ma non certo eccezionale. Se qualcosa da mangiare, ad esempio, viene definita “bunarella” vuol dire che è a mala pena commestibile.

Sulla guallera e sulla sua fondamentale importanza nella nostra lingua abbiamo già discusso, mentre lo scartiello è la gobba, ma può indicare una qualunque deformità o incapacità: lo “scartellato” non è solo un gobbo, ma anche una persona incapace o poco agile. Entrambi, insomma, indicano l’essere segnati da qualche deformità o essere in pessime condizioni fisiche od estetiche. Tuttavia, non viene usato sempre per prendere in giro qualcuno.

Una famosa filastrocca recita: San Dunato, san Dunato: simmo tutte struppiate chillu llà cchiù bunariello tène ‘a guallera e ‘o scartiello”. In questo caso viene fuori l’autoironia napoletana e viene messa in evidenza una situazione sfortunata, o addirittura drammatica, che coinvolge la persona stessa e quelli a lei cari. Non è chiaro perché venga nominato proprio San Donato, protettore degli epilettici, ma probabilmente è per l’assonanza con “struppiate”.


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