Da Superga ai cori contro Napoli: quello che Agnelli fa finta di non vedere


L’ultima puntata di Report dedicata ai presunti rapporti tra Juventus e ‘ndrangheta ha messo in luce il (discutibile) modus operandi della società bianconera. Tra le vicende che più hanno indignato l’opinione pubblica in questi anni, c’è quella relativa agli orribili striscioni su Superga esposti all’Allianz Stadium il 23 febbraio del 2014, durante il derby Juve-Toro. Ciò che emerge dalla ricostruzione di Report è che la Juventus, e soprattutto Andrea Agnelli, sapesse tutto. Ma, nonostante ciò, non ha fatto nulla affinché gli striscioni non venissero esposti, anzi.

E’ bene precisare che sono molteplici le società italiane che hanno rapporti, più o meno leciti, con i gruppi ultras, come è emerso dal recente rapporto stilato dall’Antimafia. In questo caso specifico, la società si è piegata alla volontà di un singolo, pur di evitare che il tifo organizzato scioperasse. Non c’è, evidentemente, alcuna giustificazione valida. La tragedia di Superga non può in alcun modo essere fatta oggetto di scherno, tantomeno tollerata da una delle più importanti società calcistiche del mondo.

Così come non possono essere più tollerati i cori di discriminazione territoriale intonati ogni domenica all’Allianz Stadium. Quello stesso razzismo che Agnelli (e la Juventus) combattono assieme all’Unesco. Recentemente, infatti, è stata presentata a Parigi la ricerca “Colour? What Colour?“, uno studio finanziato proprio dal club bianconero che analizza la connessione tra fenomeni di discriminazione e contrasto all’inclusione a livello internazionale in relazione allo sport.

Un impegno certamente nobile, ma che evidenzia la parte più “tollerante” di Andrea Agnelli. Può una società calcistica che ospita ogni domenica tifosi che inneggiano all’eruzione del Vesuvio ergersi a paladina della lotta al razzismo? Evidentemente si, secondo il club di Andrea Agnelli, che stigmatizza così i cori razzisti contro Napoli: “L’idea che il campanilismo, il quale racchiude una forma secolare di orgoglio e rivalità locale fra città e regioni – si legge nello studio finanziato dalla Juve – sia semplicemente parte dell’eredità culturale italiana e pertanto non dissociabile dal calcio è condivisa in modo praticamente unanime, anche da coloro che lo avversano”.

Insomma, non razzismo ma soltanto campanilismo, quasi come se fosse un fatto “culturale”. Viene ridimensionato a tal punto un problema di portata storica che non si offre alcuna soluzione per debellarlo. Pertanto, non si può fare altro che accettarlo: “In conclusione, la decisione più saggia sulla discriminazione territoriale si legge ancora nello studio consiste forse nel tollerare, temporaneamente, queste forme tradizionali di insulto catartico non rivolto contro minoranze soggette a varie forme di esclusione“.

Alla luce di quanto accaduto con gli striscioni su Superga, il dubbio è che la Juventus non voglia in alcun modo trovare una soluzione per debellare il razzismo all’interno del proprio stadio. Perché, banalmente, una soluzione ci sarebbe: cacciare via coloro che inneggiano al Vesuvio. Ovvero, cacciare quegli stessi tifosi a cui la Juventus ha consentito di far entrare nella propria “casa” i vergognosi striscioni su Superga.


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