I trofei conquistati non bastano affinché un glorioso passato possa ripetersi in maniera automatica: c’è bisogno di tutte le condizioni idonee che in quest’anno e mezzo di Ancelotti a Napoli non ci sono state. Dopo l’addio di Maurizio Sarri, lo scudetto toccato con un dito e poi svanito, Aurelio De Laurentiis aveva messo in panchina il miglior allenatore in circolazione, quella persona che in un percorso puramente teorico doveva far giungere a maturazione completa il progetto Napoli.
Non è stato così. In questi mesi abbiamo assistito ad un’involuzione sul piano del gioco, a una perdita di quell’identità data da Benitez prima e da Sarri poi. Ancelotti, chiamato a puntellare una macchina quasi perfetta, non è riuscito a raggiungere l’obiettivo. Inutile cercare di capire i motivi: così come la Storia, il calcio non si fa con i se e con i ma, ma segnando il più possibile cercando di subire il meno possibile. Ciclo finito? Responsabilità del tecnico, dei calciatori o della società? Il futuro forse ci darà quelle risposte che in questo momento non abbiamo.
In tale quadro complessivo l’esonero di Carlo Ancelotti sembra la peggior sconfitta del Napoli: un nome da solo in grado di accendere i riflettori, di convincere sponsor e calciatori a dire sì, di addomesticare quella stampa nazionale tradizionalmente più attenta, permissiva ed elogiativa nei confronti delle squadre che indossano le magliette a strisce. Carletto poteva, doveva essere quel salto di qualità e di immagine miseramente fallito.