Via Chiatamone, l’antico lungomare di Napoli teatro di scandali a luci rosse


Tra via Partenope e via Caracciolo, si fa spazio, anche se di spazio ne ha perso tanto nella sua storia, Via Chiatamone. ‘O Chiatamone, com’è notoriamente conosciuta dal popolo napoletano.

Il nome di questa via, la quale nel corso della storia ha cambiato artificialmente facce, deriva dal greco: Platamòn, che significherebbe: “rupe scavata da grotte”. E in effetti, situata tra la rupe del Monte Echia e il mare, risulta essere conseguenza dell’azione del mare, il quale, nel suo perpetuo movimento, avrebbe scavato nella roccia, creando insenature simili a grotte.

Prima sede di riti mitriaci, legati alla divinità Mitra, poi dei Cenobiti nel Medioevo, nel XVI secolo le grotte furono oggetto di scandalo per le attività orgiastiche di cui divenne scenario, ed è per tale ragione che il Viceré Pedro de Toledo dovette ostruirle.

L’aspetto di Via Chiatamone fino al 1565 era quello di una strada sterrata, abbastanza selvaggia, in cui gli affari legati alla promiscuità erano facilmente attuabili. La svolta muraria del 1565 cambiò solo apparentemente la natura del Chiatamone: la cinta muraria che fu costruita trasformò la strada in una via da passeggio, ampia e piacevole, creando un luogo di svago signorile. Tuttavia, la zona non mutò la sua identità selvaggia e la promiscuità tra popolane, gli aristocratici, i militari e i viaggiatori continuò a destare scandalo per chi vi passava.

Ma alla fine del XIX secolo, nell’ambito dei lavori di Risanamento, il Monte Echia fu ridimensionato e, contemporaneamente, si assistette ad una colmata a mare, che fece arretrare quest’ultimo riducendo la costa. Via Chiatamone, che prima si presentava, quindi, spaziosa e panoramica, fu soggetta ad un grande ridimensionamento, perdendo inoltre la funzione di costa: infatti la colmata creò l’attuale via Partenope, riducendo il Chiatamone a via adiacente. Le nuove costruzioni hanno anche coperto le sorgenti della famosa acqua ferrata cara ai napoletani.

Secondo indagini su Napoli, che, oltre ad avere base scientifica, destano anche fascino storico, Via Chiatamone rientra nell’ambito delle paludi napoletane, in prossimità delle cave da cui si estraeva il tufo necessario per le costruzioni: molto probabile proprio da quella zona si è estrapolato il tufo per la costruzione del Ponte della Maddalena a San Giovanni a Teduccio.

Interessante è la presenza linguistica, in altre zone del sud, della parola “Chiatamò”, che nella forma italianizzata, diviene Piatamone: essa si è diffusa nelle terre meridionali sia come toponimo sia come cognome. Ricordiamo, infatti, a tal proposito che i Platamone costituirono un nobile casato siciliano, di origine catanese, di cui si ha notizia fin dal XIV sec. e che annovera principi, conti, baroni e marchesi.

Tuttavia è quasi certo che, prescindendo dal cognome nobiliare, la parola Chiatamone o Platamone, che presenzia in strade e contrade di Siracusa, Amalfi, Napoli, Otranto e Sassari, derivi dal significato greco a cui abbiamo fatto riferimento inizialmente, ossia rupe scavata da grotte o anche pietra larga e piatta, ancora in merito all’erosione che avviene per il movimento del mare. In ogni modo, è associata, senza dubbio, a zone costiere e pianeggianti.

Densa e ricca di affascinanti aneddoti è la storia di Via Chiatamone e di tutte le vie che hanno portato a Napoli: se le pietre avessero voce, sarebbero narrate infinite storie di vita. Non solo quelle nobiliari e di corte che libri e i manoscritti ci propongono romanticamente. Ma storie del popolo, raccapriccianti e umane, sporche e meravigliose, madri del nostro modo di guardare il mondo. Ma forse, la cara Matilde ha saputo ben condurci nel Ventre di Napoli.


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