Discriminazione per una sposa “in carne”: l’atelier rifiuta di farle l’abito


Non poteva credere alle sue orecchie una giovane “in carne” che si è sentita dire di dover perdere 15/20 Kg da un membro dello staff di un noto atelier di Scafati, che avrebbe dovuto confezionargli il vestito da sposa. Il fatto è accaduto nel dicembre 2017 – racconta Metropolis – e non è finito nell’aula di tribunale solo per la mediazione dell’avvocato, al quale il padre della sposa ha denunciato la cosa. Il padre, pur consapevole del sovrappeso della figlia, ha vissuto come un affronto il rifiuto dell’atelier, un chiaro atto discriminatorio.

A molti la questione potrebbe strappare un sorriso, ma è indubbio il fatto che ci si ritrova, come sostenuto dal padre della sposa, davanti ad un caso di discriminazione ponderale (sizeism, in inglese), una forma di discriminazione basata sulla forma fisica di una persona, spesso donna, intesa quasi sempre come un eccesso di peso.

Sono tanti, purtroppo, gli stereotipi diffusi che alimentano questa forma di discriminazione e che rendono “colpevole“, agli occhi degli altri, una persona per il solo fatto di essere “in carne”. Il peso diventa così un parametro di valutazione, un segno di diversità, che porta a becere manifestazioni verbali e purtroppo anche fisiche.

Allora, tornando al caso in questione, non resta che chiedersi se: il problema è la sposa in carne o l’inadeguatezza dell’atelier, delle sue capacità manifatturiere e del suo personale?


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