E’ morto Sandro Mayer, quando la sua lettera dedicata a Napoli emozionò tutti


Il mondo dell’editoria della tv e del giornalismo è scosso dalla morte del direttore di Di Più Sandro Mayer. Nato a Piacenza il 21 dicembre 1940, Mayer era laureato in scienze politiche e nella sua lunga carriera giornalistica è stato direttore di riviste come «Dolly», «Novella 2000» ed «Epoca» fino al 1983 quando ha assunto la guida di «Gente» che ha mantenuto per oltre vent’anni. Mayer ha partecipato a tantissime trasmissioni tv come «Ballando con le stelle», «Domenica In» e «Buona domenica», e ha lavorato come autore e regista di teatro.

Bellissimo il suo editoriale sul suo giornale Dipiù: “’O paese d’’o sole – il fumetto scritto da Sandro Mayer”. Un fumetto dedicato ad Enrico Caruso, un racconto a firma di Sandro Mayer; un suo personale affresco di Napoli.

Sandro Mayer ha vissuto la sua infanzia a Napoli e la racconta con parole semplici, ma che arrivano dritto al cuore.

Di seguito il pensiero di Mayer su Napoli riportato da Maurizio Zaccone:

“Hai presente, caro lettore, quando vivi uno di quei dolori che ti lasciano la ferita aperta per tanto tempo? Hai presente quando il cuore ha un colpo per un’emozione negativa e l’anima sta male per giorni e a volte per anni?
Poi le ferite, con il tempo, si ricuciono ma non è sempre così. Quelle che provai io, da ragazzino, quando lasciai Napoli per sempre, sono ancora lì, latenti nel mio cuor; tanto è vero che, quando ritorno nella mia città per due o tre giorni, sento un’emozione che, da una parte, sembra una sferzata di energia che mi accarezza e che mi scuote, e dall’altra sembra un pugno nello stomaco, perché so che ripartirò. E’ un misto che mi toglie il fiato e che mi fa sbarrare gli occhi, come se avessi paura di socchiuderli e di perdere qualcosa.
Napoli, quanto ti ho amato, e quanto mi sei ancora nell’anima, anche se sono un tuo figlio adottivo, perché nacqui al Nord e arrivai da te a due anni.
Tuttavia, come quando non rispettano la persona più cara che hai come compagna di vita, così io sto male e vorrei reagire quando ti offendono, presentandoti solo come una città di delinquenza, quando la televisione mostra servizi sulle baby gang facendo credere che nelle tue strade ci sia solo gente così, quando ti descrivono soltanto come luogo di delitti e di camorra.
Io so benissimo che tu non sei così.
Non che voglia negare che esista da te, nelle tue strade, la malavita, ma è la stessa che esiste fra le strade e la gente di tante altre città d’Italia.
Ma perché, le baby gang non ci sono anche nei parchi di Milano per distribuire droga e a volte per commettere altre azioni criminali? Milano, però, è la città dell’industria, del lavoro, della ricchezza italiana e pochi osano parlare sempre dell’altro aspetto della città, così come se ne parla poco a Torino, se ne parla poco a Genova, se ne parla poco a Firenze, e in altre illustri città.

Napoli, tu invece sei sempre sotto processo e questo fa soffrire chi ti conosce bene.

Sono anni e anni che ti ho lasciato, ero un ragazzino appena quindicenne. Ma ancora, quando torno nelle tue strade, l’aria, la gente, mi provocano un’emozione così forte che, quando riparto, ho ancora dentro di me la nostalgia che mi prese quando me ne andai da ragazzino.
Ma che cosa hai di magico? Si parla tanto del tuo panorama, delle tue isole, dei tuoi monumenti ma si parla meno delle tue magie: le opere d’arte per esempio che tu custodisci. Quanti sanno che sei la città di quel capolavoro dell’arte che è il Cristo Velato? Quanti sanno le meraviglie che sono li, tra le pareti del Monastero di Santa Chiara, nel centro della città, accanto a quella meraviglia della chiesa del Gesù Nuovo che pure lei è un capolavoro artistico? Quanti sanno quello di cui sono testimone? Te lo racconto.

Quando ero ragazzino e andavo a scuola, per le elementari e per le medie, vivevo proprio in quello che oggi si definisce il quartier più malfamato di Napoli, via delle Zite n°27, primo piano; è la via che unisce Forcella a via dei Tribunali, che sono strade parallele. Allora era il quartiere del pittoresco contrabbando di sigarette fatto soprattutto dalle donne; pittoresco, perché il pacchetto lo pagavi 100 lire se lo prendevi infilando la tua mano nella tasca della contrabbandiera, ma lo pagavi centoventi se infilavi la mano nel reggiseno della contrabbandiera dove lei nascondeva, anche lì, il pacchetto.
E la contrabbandiera gridava: “Sigarette a cento lire, e centoventi con lo sfizio”.
Il quartiere era ed è a due passi dal Duomo, la chiesa più importante della città, e forse la più bella e la famosa di tutta la Campania. C’era però una chiesetta più vicino in via dei Tribunali, ma noi preferivamo il Duomo. Sai perché, lettore?
Perché, quando entravamo in quella chiesetta, noi bambini ci spaventavamo: c’erano dei quadri così scuri, così bui con gente che ti appariva cattiva, perché aveva in mano teste che sanguinavano. Una cosa orribile.
Quanti bambini hanno pianto lì dentro quando da piccini i genitori li portavano a messa? Tanto erano impressionanti quei quadri alle pareti che, alla fine, ce ne andammo uno ad uno e quella chiesetta venne chiusa. E andavamo in Duomo, più grande, più allegro, più fastoso: pensa, c’è la Cappella di San Gennaro con tutto quell’oro….
Bene, ripassai da Napoli venti anni dopo, tornai sui luoghi della mia infanzia e passai da via dei Tribunali, dove c’era quella chiesetta che ora lo so, ma allora lo ignoravo, ha il nome Pio Monte della Misericordia.
Non immagini la fila di persone che c’era lì davanti ad aspettare di entrare.
Cera persino un valletto che stava attento alla folla e distribuiva dei numerini ai passanti che si mettevano in fila e poi uno a uno li chiamava e li faceva entrare. Meravigliato, mi avvicinai al valletto e gli chiesi: “Ma perché c’è tutta questa gente davanti a questa chiesetta che una volta era stata abbandonata e poi chiusa?”. Mi rispose: “Vengono per vedere i quadri di Caravaggio e della sua scuola”. Hai capito, lettore? Quella chiesa conservava i capolavori del pittore Caravaggio che, come sai, aveva soggiornato a Napoli per parecchio tempo: erano i quadri che spaventavano noi bambini e che con il tempo erano stati poi rivalutati.
Ma questa è solo una delle meraviglie di quel quartiere che ingiustamente viene definito famigerato. Tutte quelle case nei vicoli intorno sono palazzoni antichi. Del Cinquecento, del Seicento. Sono case in degrado, spesso abitate da povera gente. Eppure sul soffitto e anche nell’atrio puoi vedere affreschi meravigliosi.
Ma pochi lo sanno, perché nessuno osa entrarci dopo la fama che ti hanno ingiustamente creato, Napoli carissima.
Ma questa è solo la superficie, l’esteriorità. Vogliamo parlare adesso della gente di Napoli?
E’ unica, meravigliosa, con un cuore grande così.
Recupero ancora i miei ricordi. Da bambino ero all’edicola, avevo sei anni, stavo comprando Topolino. C’erano gli operai che lavoravano in alto, proprio sopra di me, perché preparavano le luminarie per una festa e una processione. Uno di quegli operai perse il martello di mano, che mi cadde proprio in testa, creandomi un bel buco e facendomi uscire tanto di quel sangue che neanche lo immagini, lettore. Mi misi a piangere.
Ero solo con la mia cuginetta, Mila, gridavo: “Voglio andare dalla mamma”. E Mila disse: “Ma lo sai che è fuori con la mia, non c’è nessuno a casa”.
La gente la sentì e allora un signore mi prese in braccio e disse: “Portiamolo agli Incurabili”. Era l’ospedale lì vicino. Mentre mi portavano, sentivo gridare: “E’ o guaglione della signora Mayèr”: si, con l’accento sulla “e”, alla napoletana. Non immaginavo che ci conoscessero tutti.
Invece, questo era il bello del mio quartiere, più o meno ci si conosceva tutti, e tutti eravamo pronti ad essere solidali l’uno con l’altro.
E quel signore con me in braccio venne seguito da circa un centinaio di persone, perché molti volevano aiutarmi o almeno sapere che fine avrei fatto. Arrivammo all’ospedale non so in quanti e tutti gridavano: “Guardate’o guaglione, guardate’o guaglione s’è rott’ ‘a capa”. Nel frattempo qualcuno aveva rintracciato la mamma, che arrivò all’ospedale con mia zia, la mamma di Mila. Ecco, questo è il grande cuore di Napoli: è sempre pronto ad aiutarti, a darti una mano, a mettere la solidarietà davanti a tutto, anche davanti ai propri interessi, al proprio lavoro, alla propria vita. Lo è il cuore della gente dei quartieri alti, lo è quello dei quartieri più poveri e lo è, nel bisogno, anche quello dei malavitosi, credimi, lettore.
E ti ricordo, lettore, una cosa che certamente sai: durante la guerra, negli anni Quaranta, per novantasei ore, passate alla storia come le Quattro giornate di Napoli, senza esercito, con armi arrangiate e con l’astuzia, la gente uscì dalle case, vincendo le paure, e adulti, uomini, donne, ragazzini e ragazzine, combatterono per le strade per cacciare i tedeschi. E vinsero, permettendo così alle truppe americane sbarcate in Sicilia di entrare in città per proseguire poi la loro avanzata
per liberare il Nord.
Ma, Napoli, adesso? Sei sempre più grande, perché si sta risvegliando la tua antica cultura. Non a caso il film candidato a 15 premi ai prossimi David di Donatello, Ammore e malavita, è tutto napoletano. E napoletani sono quasi tutti i suoi attori.
Una volta ce ne erano pochi di artisti nati a Napoli: ………ora ce ne sono un’infinità.
Così proprio a Napoli è dedicato il fumetto di questa settimana. Ho scritto il soggetto tratto dalla poesia, poi diventata canzone, ‘O paese d’o sole….(e qui Mayer descrive la storia di Caruso).
Un fumetto che mi è stato dettato dall’anima, perché tu, Napoli, mi sei da sempre nell’anima.”
Sandro Mayer

Ciao Sandro e grazie per le bellissime parole su Napoli

 


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