Come l’Italia fa crollare il patrimonio culturale di Napoli


Napoli, una capitale che prima dell’Unità d’Italia era la principale città europea insieme a Londra e Parigi, di gran lunga più importante di tutte le altre città italiane, compresa Roma. La città con il centro storico più esteso d’Europa, dove si può incontrare una ricca chiesa praticamente ogni tre passi, dove ogni muro racconta una storia, un museo a cielo aperto e in quanto tale accessibile a tutti. Napoli ha conosciuto il periodo di massimo splendore a partire dal 1734, quando arrivò Carlo di Borbone, ed è in declino a partire dal 1861: un’Unità fatta male, senza popolo, orchestrata dalle potenze straniere, manovrata da interessi economici, un’Unità che niente ha avuto a che fare con gli ideali e ripudiata dagli stessi Mazzini e Garibaldi. Non è l’Unità d’Italia, tuttavia, l’argomento di questo articolo (tra l’altro, me ne sono già occupato qui), bensì la questione dei patrimonio culturale, in special modo quello architettonico, che l’Italia sta facendo crollare giorno dopo giorno. Un video a cura di Fanpage ha messo in evidenza lo stato di tre costruzioni Borboniche: l’Albergo dei Poveri, la Casina Vanvitelliana, Villa d’Elboeuf.

Napoli - Real Albergo dei Poveri

Napoli: Albergo dei Poveri, o Palazzo Fuga

L’Albergo dei Poveri, o Palazzo Fuga, fu commissionato da Carlo di Borbone in modo che potesse accogliere i poveri del Regno, dare loro un letto e dei pasti; una delle categorie che più stavano a cuore al Re erano i veterani che erano tornati mutilati: chi aveva servito la Patria aveva diritto ad essere assistito e servito egli stesso. L’edificio, le cui dimensioni corrispondono a soltanto un quinto del progetto originario, è più grande della Reggia di Caserta (commissionata sempre su volontà di Carlo), più grande del Louvre, ma cade a pezzi. La facciata, in buone condizioni, trae in inganno, perché l’Albergo dei Poveri è per la maggior parte inagibile e nell’ala in cui non lo è vivono da decenni più di 70 famiglie, sistemate lì e abbandonate dal Comune. Il suo cortile interno, inoltre, è destinato a parcheggio abusivo.
La Casina Vanvitelliana si trova sul lago Fusaro, a Bacoli, e fu fatta costruire da Ferdinando I, figlio di Carlo, come piccola tenuta per la caccia e la pesca. Un gioiello, anche questo, abbandonato, per il quale sono stati spesi milioni di Euro per un restauro fatto malissimo, con le istituzioni pubbliche che nulla hanno fatto per accertare le responsabilità della ditta che lo ha eseguito.
Villa d’Elboeuf è una villa che fa parte del Miglio d’Oro (maggiori informazioni le trovate qui) della quale Carlo di Borbone si innamorò, al punto che la acquistò e fece costruire vicino la Reggia di Portici, affinché ne fosse una dipendenza. Dal 1861, cioè da quando è diventata bene pubblico, nessun lavoro è stato fatto sulla villa che oggi è interessata da continui crolli. Lo scorso Febbraio una vasta porzione di parete è crollata sui binari della linea ferroviaria che passa dietro l’edificio, e allo stato attuale non si sa cosa si farà con la struttura.

Come sanno i Napoletani e coloro che a Napoli ci vivono o trascorrono del tempo, questi sono soltanto tre esempi dell’abbandono in cui versa il patrimonio della città. I dati di fatto ci dicono che durante la reggenza borbonica, quando Napoli e il Meridione appartenevano a se stesse (i Borbone non erano stranieri, perché eccetto Carlo tutti i seguenti Re sono nati e cresciuti a Napoli, parlavano napoletano, e visitavano le città del proprio Regno), il Sud ha attraversato un periodo di splendore che ne faceva una delle potenze più influenti in Europa. Con l’Italia, con la costituzione di un Regno di second’ordine, come affermò Dostoevskij, è iniziata la discesa che ha il suo simbolo proprio nei gioielli che crollano. 

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