Coronavirus, lo Stato ignora il Sud sull’orlo della tragedia. Cantiamo ora l’inno?


L’emergenza coronavirus ha risvegliato una sorta di unità nazionale. Da Nord a Sud dai balconi si sono affacciati i tricolori, mentre la gente cantava l’inno di Mameli a squarciagola dimenticando, invero, che se la nazione sta vivendo un dramma così immane è proprio colpa di uno Stato nato male e tenuto in vita peggio. Nonostante tutto continua la retorica secondo cui l’Italia sarebbe un grande Paese, così grande che ha superato il numero di morti della Cina e manda i malati in Germania perché non ha posti letto dove accudirli. Quanto è grande una nazione che elemosina perfino le mascherine chirurgiche?

Un Paese così grande che non ha consegnato neanche un articolo dell’attrezzatura sanitaria richiesta dalla Regione Campania: zero su tutti i fronti. Vincenzo De Luca ha chiesto aiuto al Governo, che si è girato dall’altra parte, e dunque ha lanciato l’allarme: “Il richiamo a numeri più contenuti di contagio al Nord, rischia di cancellare del tutto il fatto che non solo la crisi non è in via di soluzione, ma che al Sud sta per esplodere in maniera drammatica. I prossimi dieci giorni saranno da noi un inferno. Siamo alla vigilia di una espansione gravissima del contagio, al limite della sostenibilità. La prospettiva, ormai reale, è quella di aggiungere alla tragedia della Lombardia quella del Sud. Per noi è questione di ore, non di giorni”.

Il presidente sta facendo allarmismo? Forse, ma non dimentichiamo che siamo giunti a questo punto grazie a chi aveva sottovalutato il problema, a chi pensava che l’Italia fosse un Paese troppo importante, serio, attrezzato, competente affinché potesse verificarsi un dramma legato al Covid-19. La verità è l’Italia non è in grado di tutelare la cittadinanza: vale in campo sanitario, economico, scolastico, della ricerca. L’Italia è la nazione che taglia risorse nei settori in cui dovrebbe eccellere e distribuisce denari ad amici e amici di amici. È anche la nazione che dal 2000 al 2017 ha sottratto 840 miliardi di euro al Sud (fonte Eurispes) per dirottarli al Centro ma soprattutto al Nord, sottraendo linfa vitale al nostro territorio il quale vive un declino che lo porterà alla morte, se non si cambia rotta.

“Siam pronti alla morte” scriveva Mameli in tempi non sospetti, ironia della sorte. Così prosegue De Luca: “Dopo aver creato decine di posti letto nuovi per la terapia intensiva, rischiamo di non poterli utilizzare per mancanza di forniture essenziali. Zero ventilatori polmonari; zero mascherine P3; zero dispositivi medici di protezione. A fronte di un impegno ad inviare in una prima fase 225 ventilatori sui 400 richiesti, e 621 caschi C-PAP, non è arrivato nulla. Questi sono i dati. E dunque, non si può non rilevarlo in maniera brutalmente chiara. So che la situazione è difficile per tutti. Non voglio alzare i toni. Ma non posso non dire che per quello che ci riguarda, ci separa poco dal collasso, se il Governo è assente“.

Lo scorso 17 marzo, in occasione dei 159 anni dell’Unita nazionale, Giuseppe Conte si appellava appunto all’unione di tutti gli italiani per superare l’ennesima difficoltà. Ma di quale unione stiamo parlando se la sanità meridionale è stata fatta a pezzi e messa in ginocchio dall’Italia in persona? Di che unità parliamo quando lo Stato “dimentica” per anni di fissare i famosi LEP facendo sprofondare ancora di più la sanità al Mezzogiorno? Di che unità parliamo se viviamo in uno Stato che costringe all’emigrazione sanitaria dalle regioni del Sud a quelle del Nord per interessi puramente economici? Perfino Milena Gabanelli lo afferma, sarà anche lei una neoborbonica o un’invasata?

Per anni chi ha parlato di disparità tra Nord e Sud, di Mezzogiorno quale colonia interna della nazione italia, è stato deriso, accusato di fomentare odio, di raccontare bugie e mistificazioni. Purtroppo, invece, oggi stiamo scoprendo che ha recitato il ruolo di Cassandra: in piena emergenza siamo totalmente impreparati e abbandonati.

Ma alla fine, di tutto questo discorso, cosa ce ne frega? Abbiamo i balconi e abbiamo i tricolori, cantiamo l’inno e ci illudiamo di vivere in una grande nazione.


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