Giudice campano assolve Vittorio Feltri: “Chiamare ‘terrone’ non è diffamazione”


Un giudice campano ha assolto Vittorio Feltri dall’accusa di diffamazione per avere utilizzato il termine “terroni” al fine indicare i meridionali. Si tratta di Nicola Mazzarella, giudice di pace di Cava de’ Tirreni, chiamato a decidere in merito alla denuncia presentata da un cittadino nei confronti dell’ex direttore editoriale di Libero, il quale recentemente si è dimesso dall’ordine dei giornalisti in seguito alle polemiche sulla frase “I meridionali in molti casi sono inferiori” pronunciata nel corso della trasmissione Fuori dal coro. Affermazione per cui è stato invece punito dall’Ordine il presentatore, Mario Giordano, in quanto non si era dissociato da Feltri, anzi, aveva inscenato contestualmente un ridicolo teatrino di matrice discriminatoria e nei giorni successivi tentato di giustificare quell’affermazione.

Il giudice: “Dire ‘terrone’ a qualcuno non è diffamazione”

Secondo Nicola Mazzarella la “razza terrona” non esiste così come la “razza polentona”, dunque non esistono neppure i terroni e allora non costituisce reato di diffamazione essere chiamati così. Secondo il giudice di pace infatti “il reato si configura solo quando è riferito a un’etnia o gruppo religioso”, ma non esistendo – a suo avviso – la popolazione terrona è di conseguenza impossibile usare il termine in senso negativo.

Una decisione che a nostro avviso non tiene conto della realtà dei fatti. L’insulto terrone viene utilizzato notoriamente in senso dispregiativo nei confronti dei meridionali, un uso talmente comune che viene riportato perfino dai vocabolari della lingua italiana. Il Treccani online riporta infatti: “terróne s. m. (f. -a) [der. di terra, prob. tratto dalle denominazioni di zone meridionali quali Terra di Lavoro (in Campania), Terra di Bari e Terra d’Otranto (in Puglia)]. – Appellativo dato, con intonazione spreg. (talvolta anche scherz.), dagli abitanti dell’Italia settentr. a quelli dell’Italia meridionale”.

Il giudice Nicola Mazzarella sembrerebbe aver preso proprio un abbaglio, anche considerata la sentenza 42933/11 della Corte di Cassazione che conferma una sentenza di condanna di un cittadino del nord che veniva chiamato dal vicino di casa “terrone di merda”, definendo l’espressione “odiosamente razzista”. I giudici in quell’occasione hanno infatti ritenuto che “Con la medesima tecnica dell’assimilazione denigratoria il vicino è stato paragonato, non solo a un rifiuto organico, ma anche a un individuo che, per la sua origine, è evidentemente ritenuto obiettivamente inferiore (ovviamente da V. G., che ha offeso A. C. e gli italiani del Sud)”. 


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