Dazi USA del 107% sulla pasta italiana
Gli Stati Uniti accusano i produttori italiani di dumping, ovvero di esportare pasta a prezzi inferiori rispetto a quelli del mercato interno. L’iniziativa, promossa dal Dipartimento del Commercio, ha portato all’introduzione di una tariffa aggiuntiva del 92%, che si somma al 15% già in vigore: in totale, un dazio del 107% a partire dal 1° gennaio 2026.
Tra le aziende coinvolte ci sono marchi storici come La Molisana, Garofalo, Rummo e Barilla, oltre a realtà più piccole come Sgambaro di Castello di Godego (Treviso). Per quest’ultima, il mercato americano rappresenta il 10% del fatturato, circa 24 milioni di euro: un colpo durissimo, impossibile da compensare in tempi brevi.
La Molisana ha smentito le voci su una possibile apertura di uno stabilimento negli Stati Uniti, confermando invece la volontà di “proseguire l’iter legale intrapreso”. L’amministratore delegato Giuseppe Ferro ha definito la decisione americana “una follia”, spiegando che il presunto dumping è stato calcolato retroattivamente di dodici mesi: “Vendiamo 454 grammi di pasta a 4,5 euro, dov’è il sottocosto?”.
Anche Cosimo Rummo, presidente del pastificio beneventano, ha annunciato ricorso, denunciando “un margine di dumping arbitrario e privo di fondamento”. Le aziende, con il supporto dei loro legali, intendono contestare la metodologia utilizzata dal Dipartimento del Commercio.
Pur essendo meno esposta grazie agli stabilimenti già presenti in America, Barilla ha definito i dazi “una misura penalizzante per l’intero comparto” e ha annunciato la presentazione di una memoria difensiva. Il settore vale circa 700 milioni di euro l’anno solo negli Stati Uniti, su un export totale di 8,7 miliardi. Per molte aziende italiane, rinunciare al mercato americano significherebbe perdere una vetrina fondamentale del Made in Italy.
L’inchiesta sul presunto dumping è stata avviata nel 2024, prima del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, dopo le segnalazioni di alcuni produttori statunitensi. Gli ispettori hanno selezionato La Molisana e Garofalo come aziende campione, accusandole di non aver fornito dati completi. In base alla regola degli adverse facts available, il Dipartimento ha applicato un dazio del 91,74%, poi esteso a tutte le altre imprese italiane.
Le aziende respingono le accuse: “Abbiamo consegnato seicento pagine di documenti e chiesto verifiche dirette, ma nessuno è venuto“, ha dichiarato Ferro. In passato, i margini di dumping accertati erano stati pari a zero o appena all’1,6%.
Il governo italiano e la Commissione europea sono intervenuti chiedendo chiarimenti a Washington. “Stiamo lavorando affinché gli Stati Uniti rivedano la decisione”, ha affermato il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Il portavoce della Commissione europea, Olof Gill, ha definito la misura “sproporzionata e non trasparente”, annunciando la preparazione di una memoria ufficiale per contestare i metodi di calcolo del Dipartimento del Commercio.
Coldiretti parla di “una nuova mannaia sul vero Made in Italy”, stimando un raddoppio del prezzo medio di un piatto di pasta per le famiglie americane. Il rischio, secondo l’associazione, è che le imitazioni Italian sounding — prodotti con nomi italiani ma di produzione locale — invadano il mercato, erodendo la credibilità e i profitti delle aziende autentiche.
Gli analisti temono anche un impatto occupazionale, soprattutto nei distretti del Sud dove la filiera della pasta resta vitale. Se i dazi non verranno rimossi, l’Italia potrebbe perdere una delle sue più importanti vetrine internazionali, simbolo dell’eccellenza agroalimentare nel mondo.