“Braccia Aperte”: l’associazione campana che combatte la povertà nel Burkina Faso


In uno dei paesi più colpiti dalla desertificazione, dalle crisi umanitarie, dalla morsa della guerra civile, c’è chi ancora crede e lotta per la rivincita del Burkina Faso. L’organizzazione no-profit “Braccia Aperte” Onlus, con sede ad Angri, opera in progetti umanitari, attraverso operazioni di volontariato in Africa Occidentale. Le iniziative solidali dell’organizzazione si svolgono in maniera diretta nei paesi terzomondisti, inviando sul posto sempre nuovi volontari. Sostenendo le fasce deboli della popolazione africana, i volontari realizzano centri d’accoglienza per bambini di strada e orfani dal 2005, donandogli una nuova vita. A raccontarci di più su questa meritevole associazione è proprio uno dei volontari che ha prestato soccorso nel Burkina Faso: Andrea.

In che modo è nata la giovane associazione Braccia Aperte, decidendo coraggiosamente di operare in uno dei luoghi più poveri del mondo?

«L’organizzazione è stata istituita nel 2015, attraverso il volere del nostro presidente Stefano Sabatino, ricercatore universitario che ha sempre amato l’Africa. Stefano, con il suo spirito di solidarietà e adattamento a situazioni ostili, è riuscito a creare la sua associazione, ma già in passato ha cooperato con altre Onlus. Il nostro presidente non amava il loro modo di fare».

Cos’ha provocato il distacco tra il presidente di Braccia Aperte e la Onlus in cui operava?

«Le grandi Onlus sono diventate multinazionali, raccolgono davvero tanto denaro, ma non vivono i problemi quotidiani che ci sono in Africa Occidentale, dove, ancora oggi, la maggior parte della popolazione non ha neanche accesso ad una fonte d’acqua sicura. Stefano, da 5 anni, insieme ad altri volontari, vola due volte l’anno in questo paese. Io sono stato a Goughin, un quartiere davvero poverissimo del Burkina Faso, dove già operava un’associazione che raccoglieva bambini di strada: “Bras Ouverts”. Stefano Sabatino decise in questo modo, dopo aver visitato la zona e compreso le reali esigenze e criticità dei luoghi in cui oggi prestiamo aiuto, di collaborare con loro».

Quali interventi apporta la vostra organizzazione per migliorare la vita dei giovani in Africa?

«Il nostro gruppo opera particolarmente attraverso attività formative: scolarizzazione, con l’acquisto ovviamente di materiale didattico; corsi di informatica e pronto soccorso, difesa personale per ragazze. Ma, la peculiarità di Braccia Aperte è il finanziamento di diversi progetti annuali, sempre diversi tra loro. Lo scorso dicembre, oltre a portare farmaci e vestiti, abbiamo costruito un pozzo. Il piccolissimo villaggio di Kaibo era rimasto senz’acqua. Abbiamo dato la possibilità ai cittadini di abbeverarsi facilmente, senza doversi spostare 10 km ogni giorno solo per un sorso d’acqua. Ed ancora, una delle finalità che la nostra organizzazione si pone, più di altre, è l’assistenza sanitaria, dall’ospedalizzazione alla fornitura di medicinali, perché sai la sanità è a pagamento nel paese più povero del mondo».

In che modo “Braccia Aperte” finanzia i propri progetti, che non sembrano facili da realizzare in Burkina Faso?

«Con i fondi raccolti attraverso le donazioni e continuamente realizziamo molti eventi in tutta Italia per sostenere i nostri progetti. Un appuntamento consueto è il “Festival della Solidarietà”, che ha visto negli anni anche la partecipazione di vari artisti, come Almamegretta, e lo svolgimento di iniziative sociali e culturali dalla durata di tre giorni». 

Quest’anno l’organizzazione ha in mente una nuova attività o proposito?

«Stiamo sostenendo una nuova raccolta di beneficenza per lo sviluppo di un micro-credito, volto all’avvio di piccole attività commerciali. I nostri ragazzi creeranno piccole micro imprese. Ad ognuno sarà consentito finalmente di rendersi almeno minimamente autonomo. Inoltre, poco tempo fa, è stato realizzato un forno insieme agli orfani del villaggio. La realizzazione è stata intrapresa attraverso l’attività di due pizzaioli che hanno deciso di lasciare per tre mesi il proprio lavoro e aiutare dove c’è ne davvero bisogno. Ora, abbiamo anche corsi di panettiere e pizzaiolo per questi ragazzi grazie al sostegno di questi due uomini coraggiosi».

Puoi raccontarci un aneddoto del tuo viaggio di volontariato? Qual’è esperienza che ti ha segnato di più?

“Di aneddoti c’è ne sono troppi, ma una delle esperienze che non dimenticherò mai è l’incontro con un ragazzo del villaggio. Dimitri, questo è il suo nome, che ha soli 17  anni ha dovuto lasciare la propria casa per andare in città. Il giovane doveva guadagnare qualcosa e mandarli alla famiglia, per sostenerli. Durante la mia permanenza avevo un piccolo appartamento condiviso con un’altra volontaria, lui era il custode. Dimitri mi colpì molto: parla in modo eccellente, oltre il francese, anche l’inglese e aveva intenzione di proseguire gli studi ma i pochi spicci che guadagnava non bastavano. Tutte le sere ci chiedeva di fargli lezioni di italiano: il ragazzo prendeva il suo quaderno, che aveva sempre con sè, e scriveva la stessa parola, da noi dettata, non solo in italiano, ma in tutte le lingue che conosceva.

Sei ancora in contatto con Dimitri?

«Sì, tramite Bras Ouverts riesco a tenermi in contatto con Dimitri. In Africa, spesso, lo straniero è visto dai ragazzi come un’autorità superiore e gli viene indottrinato che non può sedere al nostro stesso tavolo. Fu difficile stringere amicizia con lui. Una sera accadde, altresì, che si alzò da tavola con il suo libro, vedendoci arrivare in lontananza, e cominciò a studiare matematica in piedi sotto la luce unicamente di una lampada. La sua passione, il suo interesse e la sua curiosità mi portarono a pensare che doveva avere un computer, poteva rendere i suoi studi semplificati. A Dimitri fu regalato un portatile e iniziò a cercare le cose più disparate al mondo, felice come non mai. Un semplice PC, per noi oggetto quotidiano, ha stravolto la vita di quel ragazzo».

Il vostro spirito solidaristico è riuscito a salvare non poche persone, avete sostenuto le aspirazioni di chi non aveva più speranza…

«Abbiamo realizzato anche un altro sogno: “Braccia Aperte” ha pagato gli studi universitari ad una ragazza, un’aspirante giornalista» .

Quali sono le difficoltà affrontate da Braccia Aperte durante il tuo soggiorno da volontario?

«Pochi sanno che in Africa lo stile di vita è davvero lento rispetto al nostro. La suddetta lentezza si trasforma in una sfida faticosa negli affari e nei progetti da noi sviluppati. Costruire il pozzo è stata un’impresa, perdemmo le speranze inizialmente. L’azienda che ci ha permesso di scavare la cavità, cambiò svariate volte il prezzo iniziale che dovevamo pagare per la costruzione, e non ci assicurò di trovare l’acqua. Dopo un mese di trattativa, demmo inizio agli scavi». 

Com’è vissuta la diaspora africana dalla gente che hai conosciuto?

«Il popolo africano ama il proprio paese, ma lì la corruzione regna sovrana. Quando sbarcai in Africa, le nostre valigie, colme di medicinali per la nostra missione, furono bloccate all’aeroporto. Le guardie volevano essere pagate per sbloccare i bagagli. I medicinali portati da una Onlus non possono essere trattenuti, è una legge, non una mia supposizione. Ma, la povertà persiste e tutti vogliono mangiare. L’istruzione e la sanità sono a pagamento. Inoltre, i trasporti non esistono. La sovranità del Burkina Faso è in Francia, che ancora controlla questo stato e solo una piccola fetta di popolazione può vantare ogni giorno un pasto caldo in tavola. Le persone devono fuggire per avere una possibilità come tutti noi».

Quest’esperienza sicuramente ti ha cambiato la vita, puoi spiegarci in che modo? Consiglieresti ad altri di partire per una missione di volontariato in Burkina Faso?

«Con Braccia Aperte ho capito che la vita è un bene prezioso. In Africa non ho mai visto un bambino piangere o un adulto lamentarsi. I ragazzi africani vivono una vita così diversa e lontana da noi, non hanno la possibilità di pensare  alle frivolezze che attanagliano ogni giorno le nostre vite e lì, in quel paese dimenticato da Dio, si lotta ogni giorno tra la vita e la morte. Tutti dovrebbero provare l’esperienza da volontario solo per comprendere il valore di ciò che ha a casa propria e che niente, neanche il sorriso dei nostri cari che vediamo ogni giorno, è scontato. Chi ha l’opportunità di conoscere, istruirsi, viaggiare, deve impegnarsi, anche minimamente, a dare le stesse possibilità ad altri».

Il 15 febbraio “Braccia Aperte” organizzerà una serata di beneficenza, di cosa si tratta?

«Il 15 febbraio si terrà il terzo appuntamento  del nostro Winter Tour al Tarumbò, noto pub di Scafati. Musica live e tanto divertimento per raccogliere fondi necessari all’acquisto di materiale per la preparazione di pizze e pane dopo la realizzazione del forno di cui ti ho parlato prima. Per il corso di panettiere, inoltre, abbiamo pensato di acquistare anche grembiuli per i ragazzi e, sicuramente, potranno sentirsi più coinvolti e professionali. Il materiale non è semplice da comprare, come tutti credono, e un piccolo contributo non cambia la tua vita, ma cambia la vita di questi ragazzi, le sole vittime del vile sistema».


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