1300, la “Cronica dell’Anonimo Romano”: quando a Roma si parlava napoletano


Complessa, articolata, musicale e frutto delle intricate e divergenti questioni linguistiche del ‘500, la lingua italiana è una delle lingue romanze più studiate al mondo, fa parte ufficialmente delle lingue parlate nella Comunità Europea e vanta una storia davvero secolare, che affonda le sue radici nel latino volgare, parlato dalle persone comuni tutti i giorni.

Oltre alla ricchezza a livello linguistico, l’italiano vanta anche un vasto e rilevante patrimonio letterario, tra cui si annoverano anche figure di spicco, come Salvatore di Giacomo, nati nella città di Napoli. Quando si parla di qualcosa di particolarmente rilevante a livello storico e culturale e perché no anche linguistico in questo caso, non possono mai mancare riferimenti alla città di Napoli ed in questo caso alla sua lingua, quella napoletana. Ricordiamo che il Napoletano è anch’esso una lingua a tutti gli effetti, ufficialmente riconosciuta dall’Unesco.

Ricostruire la storia di queste due lingue, che hanno in comune una musicalità unica, non è facilissimo: per quanto riguarda l’italiano, tuttavia, servendosi dei primi documenti che ne attestano la nascita e l’evoluzione, si può tracciare un breve excursus dei punti salienti. Si tratta di documenti antichi ed di una certa rilevanza, come iscrizioni private, graffiti pompeiani e testimonianze puramente grammaticali, come il famoso Appendix Perobi, ovvero una lista di nome a “specchio” che propone la forma corretta e la forma sbagliata di ben 227 parole. Dulcis in fundo ma non meno rilevante, ci sono formule di giuramento in testi processuali, come il famoso Placito Capuano del 960 d.C., considerato l’atto di nascita dell’italiano e del dialetto campano stesso.

Per quanto concerne la lingua napoletana, è opportuno partire da una riflessione: il napoletano, analogamente alla lingua italiana, ha influenzato le parlate locali anche di altre regioni, per questioni politiche, geografiche e così via. In particolare Roma è sempre stata la città più vicina all’entroterra partenopeo, da cui ha subito inevitabilmente le influenze linguistiche. Partendo da un interessante articolo di Ilsilaro.net, cercheremo di ricostruire brevemente le analogie della lingua napoletana e di quella romana.

La prima grande testimonianza della letteratura romanesca risale al 1300, si tratta della “Cronica dell’Anonimo Romano”, che attesta molte affinità con la lingua napoletana. Ecco alcuni esempi:

– “tiempo” o “uocchi”, che presentano il dittongo esattamente come nel napoletano di oggi

– “vocca” per bocca,

– “iente” per gente

– “pozzo” per posso

Leggendo, in particolare il capitolo 18 dell’opera, si possono rilevare tante affinità con la lingua napoletana, nate dal fatto che il latino, per questioni geografiche, è stato contaminato in primo luogo dalla lingua parlata a Capuam e Pompei e poi dalla quella della vicina Roma, con cui aveva scambi e contatti ravvicinati. Consultando e leggendo attentamente alcune parti del capitolo in questione, sono facilmente deducibili le analogie linguistiche.

I due idiomi però cominciarono a distaccarsi dopo il sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi del 1527, che comportò una scissione quasi netta. Nel frattempo però Napoli iniziò a dare importanza alla lingua napoletana non solo dal punto di vista linguistico ma anche letterario.

C’è sempre qualcosa di Napoli dovunque si vada. 


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