Rivede Napoli dopo 10 anni, scrive una lettera da brividi: “Napoli mia sei uno spettacolo”


Spesso, chi vive a Napoli dimentica quanto sia fortunato: abituati a vedere la nostra città in ogni sua forma, abituati alla quotidianità finiamo per non renderci più conto del tesoro che calpestiamo. È, colui che va via, il più grande estimatore della nostra terra, chi per lavoro o per studio è costretto a viaggiare ed abbandonare città e famiglia: negli occhi di queste persone rimane il ricordo di ciò che hanno lasciato e, anche se la vita li porterà nell’angolo più bello del mondo, Napoli resterà sempre la migliore.

Un amore che si manifesta soprattutto quando tornano, anche per poco, nella loro terra: tutto quello che vedono è amplificato da nostalgia ed amore e le novità avvenute in loro assenza sono motivo d’orgoglio. E’ quello che traspare anche dalla bellissima lettera che una nostra lettrice, Donatella, ha voluto inviarci. Dopo 10 anni, lei è finalmente tornata a Napoli per qualche giorno, provando sensazioni uniche rivivendo ricordi ed ammirando i miglioramenti della città e degli stessi napoletani.

“Ma quant’è bella… ma che cartolina … ma che spettacolo che è la mia città … lo avrò ripetuto di continuo, per dieci giorni, davanti ad ogni bellezza che vedevo. Lo so che per chi ci abita ci sono ancora tanti problemi da affrontare e che c’è ancora da fare per cambiare qualche reticente capa tosta a cui insegnare, che so, l’uso del semaforo o delle strisce pedonali. In un quarto d’ora in attesa dell’amica mia davanti alla stazione ho visto, a prescindere dal rosso, verde o giallo, macchine, moto, bici (bici…!), umani, autobus, vigili del fuoco… tutti passare dallo stesso buco, facenn ammuina.

Senza contare che c’e’ ancora chi crede che un pedone sulle strisce rappresenti il piattello a cui tirare… Ma, studio antroplogico a parte, in quei quindici minuti ho soprattutto ammirato il cambiamento radicale della stazione centrale, che – secondo il mio imparziale parere – e’ la più bella che abbia visto tra quelle rimodernate. L’enorme scritta rossa della Feltrinelli che primeggia su un lato, tanti negozi ed un enorme bar luminoso, dove potersi sedere ed attendere in pace un treno o l’uomo della tua vita.

Certezze che da sempre appartengono alla stazione, resistono… zingare che ti predicono la venuta ‘e ‘u bello guaglione in cambio di una moneta e giovanotti oriundi che più allegramente e senza azzeccarsi troppo ti propongono cazettielli a rate, pure senza busta paga, dopo averti fatto sentire la più bella del reame.

Poi via Pertenope, ora pedonale, ed il mare e il sole e l’odore dei taralli ‘nzogna e pepe, gli scugnizzi che si tuffano dagli scogli e l’ennesimo venditore di cazette che ti fa fare na fotografia che pare nu quadro da via Santa Lucia.

E poi il cuore di Napoli, che ho vissuto da dentro, per anni, ma che quasi non riconoscevo più per quanto è diventato bello. Piazze che ora ammiri, per intero, in tutta la loro magnificenza, vicoli che respirano la stessa aria di allora, ma è come se quell’aria si fosse fatta pulita, più aperta ed accogliente. Credo di non aver mai visto, in nessuna città, così tante indicazioni in duplice lingua, napoletano ed inglese!

Nugoli di turisti, a volte accolti da giovani volontari con pizzette calde e carte della città, entrambe gratuite. Caffè letterari che sembrano il luogo ideale per poter incontrare, dopo una ventina d’anni, la mia compagna di liceo. Come hai fatto, Napoli mia, a sapere di cosa avessi bisogno stavolta? Come hai fatto a regalarmi così tanto calore ed affetto e serenità proprio ora che ne sentivo la necessità più assoluta? Sei cresciuta, Napoli mia, nun si cchiù ‘a carta sporca e la gente, di te, se ne importa. Era ora.”


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