Video. Federico Salvatore: “Partenope nell’inferno di Pulcin’Hell”


Federico Salvatore ritorna con un nuovo album che uscirà il 21 ottobre 2013. Pulcin’Hell vuole essere una denuncia per tutto il popolo partenopeo che, proprio come dice l’autore, accompagnato dalla città da sempre considerata la più bella del mondo, che rischia negli ultimi tempi di essere definita la più brutta del mondo, è ormai sull’orlo del precipizio. In fondo all’articolo è possibile ascoltare “Lato B”, il primo brano estratto dall’album e l’unico scritto completamente in italiano. A tal proposito il sito ilMattino.it scrive:

Federico Salvatore ha fatto un sogno: che Fabrizio De Andrè fosse nato a Napoli, che il suo canzoniere feroce e beffardo altro non fosse che una serenata anarchica e disperata per Partenope, prostituta rinnegata persino dai suoi protettori.

«Pulcin’hell», quattordicesimo album di una discografia partita tamarra per diventare sempre più raffinata e da teatro-canzone, raccoglie alcune dei brani disseminati in rete dopo l’uscita, nel 2009, di «Fare il napoletano stanca»: da «Cammenanno» al j’accuse levato contro «’O palazzo» e al viaggio al termine della città di «Napocalisse».

E, soprattutto, affonda a piene mani nell’humus deandreiano, sino a immaginare una versione verace di «Disamistade» con «L’inno di Papele», sberleffo sudista, anzi separatista, persino con improbabili nostalgie borboniche: «Me sapete cunta’ senza fa’ cchiu’ ’e ruffiane/ che vvo’ significa’ sta bandiera italiana?», si chiede alludendo al vessillo che unisce davvero il Malpaese solo nelle finali dei mondiali di calcio.

Il gioco di parole del titolo, che precipita all’inferno la maschera napoletana per eccellenza, memore anche della sua parentela con il Mister Punch inglese, è l’incipit di un percorso deandreiano: l’indicibile elogio di «Guallera» ricorda le ballate provenzali del primo Faber, per poi trasformarsi in una tarantella prog come quelle della Pfm nello storico tour con il cantautore: «Simmo nate cu sta debulezza/ ca pure ’a munnezza ce fa suppurta’».

«Vico Strafuttenza» riscrive «Via della povertà» che riscriveva «Desolation row», mentre la domenica delle salme diventa «’a dummenica ’e paranze».
«Io ho due amori», conferma Federico Salvatore, ormai messa da parte l’antica dicotomia tra le due anime della città del suo periodo più ridanciano, «e sono De Andrè e Zappa. Verrà un tempo in cui mi fiderò anche della mia chitarra per tentare un omaggio al santo laico Frank. Intanto, questo disco, con l’azzardo di ”L’inno di Papele”, è la mia dichiarazione di fede deandreiana: in tempi del genere avere una fede è già qualcosa, io mi aggrappo all’amico fragile in tempi in cui anche la città più bella del mondo corre il rischio di essere la città più brutta del mondo, oltre che quella peggio governata da sempre».

Correndo il rischio di passare per nostalgico di tempi di cui nulla si può rimpiangere, con l’acuta consapevolezza di chi ha studiato la storia patria ma anche il galateo dello scugnizzo, il cantattore elegge a musa la «vajassa» Partenope, «femmena santa e puttana/ Bella ’mbriana e figlia ’e ’nu ’rre». «Lato B» è la chanson del fondoschiena perduto, «Puparuopolis» quasi una sfida ai teorici della nouvelle couisine con i ritmi di «Crêuza de mä» a ricordare i sapori, i profumi e gli intrugli dell’alimentazione mediterranea. «Tarantella all’acqua pazza» sembra il sequel impossibile di «’O guarracino» e serve anche per alleggerire il nero senza speranza di «Napocalisse», o il racconto tenero quanto dolente di «Natascha», all’anagrafe Pasquale, e chissà che non si chiamasse Pasquale, anzi Natascha, anche il travestito che ispirò «La canzone di Marinella».

Gli arrangiamenti di Luigi Zaccheo sono la cornice di uno sfogo impelletente, di un disco a due colori, in cui le parole dettano la strada ai suoni: «Da una parte c’è la pietra nera del Vesuvio, che rappresenta la maschera di Pulcinella. Dall’altra quella della Solfatara, bianca come il camicione della maschera. In mezzo ci sono io, Pulcin’Hell: seduto, come tutto il mio popolo, sull’orlo del precipizio», conclude Federico Salvatore, con un sorriso che è un po’ ghigno e un po’ esorcismo.


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