Ludovico, ex commerciante ittico: “Vi racconto com’è portare la Madonna della Neve”

Foto di Mafalda De Simone


Negli anni è cambiata, si è involuta, è diventata disordinata, consumistica, ma niente ne scalfisce il potere simbolico e aggregativo che la contraddistingue da sempre. Domani, 22 ottobre, a Torre Annunziata è un giorno di festa, è il giorno dedicato alla Madonna della Neve, patrono della città. Per l’occasione abbiamo intervistato Ludovico Molinari, un ex commerciante ittico che da 37 anni porta la Madonna in processione, avendo raccolto un’eredità che si tramandava di generazione in generazione.

Sia suo nonno che suo padre erano “uomini di mare” negli anni in cui il mercato del pesce era per Torre, insieme ai pastifici, lo specchio principale del rigoglio e della vita. Ludovico è cresciuto assorbendo spontaneamente il culto della Madonna, fino al passaggio di consegne: “Mio nonno era “Peppe ‘o cuzzecaro”, era un commerciante, vendeva i frutti di mare, e aveva ‘o puost, di fronte ‘o stallone, dove oggi c’è la nuova Benetton. Mio padre mi raccontava che prima di arrivare a portare la Madonna in processione ci sono vari passaggi, lui ha fatto la trafila fino ad arrivare al “masto delle cerimonie”. Oggi occupo la posizione che occupava lui, quella dell’agguantatura . Poi, mio padre è passato sotto al quadro, e la posizione che ha occupato prima lui e che occupo io si chiama agguantatura. Gli agguantatori sono quelli che sorreggono la Madonna quando la processione è ferma”.

Ma la valenza della festa non è maggiorata per i pescatori. Quest’ultimi, o chi per loro, fanno piuttosto da tramite tra la Madonna e la città: “Penso che il legame fra la Madonna e i pescatori non è secondario al legame che c’è fra quell’immmagine e la città – dice Ludovico-.  Noi ci sentiamo quasi dei privilegiati a portarla. Noi siamo la parte finale di questo movimento di devozione nei suoi confronti. Quello che avverti sotto è  un abbraccio totale”.

Ma portare la Madonna in processione significa anche avvicinarla a chi non può andare da lei: “La fatica che si fa è proprio un fatto di dedizione anche per chi non si può muovere, per gli ammalati, per chi non ha la possibilità di vederla. Ho un vezzo, quello di donare un fiore a chi ne ha bisogno, il fiore della Madonna. Lo do ai parenti di un ammalato se li incontro. C’è una mia amica carissima che ha perso un figlio da una decina di anni, e io quando arrivo nei pressi della sua abitazione prendo una rosa di quelle offerte alla Madonna, la alzo in alto e la porgo a lei in ricordo di suo figlio. La Madonna si porta perché sopportare quella fatica sembra quasi che ti dia il privilegio di chiedere qualcosa e io ogni anno chiedo qualcosa a lei ma mai per me. Ogni anno la porto per qualcuno, sempre per chi più ne ha bisogno”.

In questi 37 anni sono stati tanti gli aneddoti collezionati. E molti di questi rimandano proprio alle radici dei torresi, al sentirsi connessi primordialmente alla propria terra: “La cosa più strana che succede accade mentre si trasporta la Madonna. In quei momenti viene fuori la verace torresità che a volte fa sorridere ma anche pensare. Si sentono termini passati in disuso, è chiaro che il 90% non sono persone acculturate, ma sono anche quelle che conservano la veracità delle proprie origini”.

Quest’anno, per Ludovico sarà il 38esimo cammino con la Madonna sulle spalle, e per la città di Torre ha un desiderio da esprimere alla Vergine: “E’ quasi impossibile, però vorrei che Torre quella che io ho vissuto, quella degli anni ’60, ’70, quando era ancora città, era una Torre dove la delinquenza, la beceraggine, il motto che ha distrutto la città non era imperante. Qual è il motto? “Che teng’a verè”, per tornare a rivedere la città come un tempo dovremmo togliere questa frase dalle nostre teste. Torre vive il disagio di tutto il meridione, almeno dall’Unità d’Italia, però ci vorrebbe la bacchetta magica per estrarre dalla mente dei torresi questa frase. Poi bisogna incoraggiare i giovani che investono in questa città, e ci sono molti esempi di ragazzi che investono qui, bisogna stargli vicino”.

Un tempo per il 22 ottobre c’erano luci e bancarelle dal campo sportivo fino a San Francesco, in città arrivavano carrozze piene di fiori e per i bimbi quel giorno era come un anticipo delle festività natalizie, l’occasione per scegliere il regalo da chiedere per l’Epifania. Oggi c’è confusione, disordine, e il momento della processione è solo una pausa da un contorno che ha più il carattere di una baraonda che di una festa religiosa. Nonostante tutto, però, nonostante il tempo abbia in un certo senso mercificato l’involucro esterno di questo appuntamento, il 22 ottobre continua ad essere la data del cuore di ogni torrese: “Io sono mancato solo una volta in questi anni, perché mia figlia doveva operarsi. Questo giorno per me è irrinunciabile”.

Ludovico porge la spalla, i torresi il cuore: il 22 ottobre non sarà mai un giorno qualunque per Torre Annunziata.


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